Stamattina alle ore 10 il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha tenuto in Senato il discorso che anticipa il voto di fiducia al nuovo esecutivo. La votazione si apre alle 23 al Senato. Domani alle 18:30 il voto di fiducia alla Camera dei deputati.
Le larghe intese nella storia
Dopo il giuramento di sabato scorso il presidente del Consiglio si appresta a ricevere la fiducia dalle Camere il cui ottenimento – stando ai numeri dell’ampia ed eterogenea maggioranza che lo sostiene – sembra essere più che scontato. Il nodo da sciogliere riguarda il numero di consensi che otterrà. Secondo alcuni osservatori potremmo assistere al record assoluto in un voto di fiducia del Parlamento. La narrazione politica di queste ultime, concitate, settimane ha posto l’enfasi sulla straordinarietà del nuovo esecutivo. Ma quante volte nella storia è stato sperimentato un governo composto trasversalmente da forze politiche di maggioranza e opposizione?
È accaduto soltanto in cinque occasioni.
Il primo governo di grande coalizione risale al 14 luglio 1946, data del giuramento dell’esecutivo presieduto da Alcide Gasperi, in una cornice storica drammaticamente segnata dal secondo conflitto mondiale e nel quale aleggiava un rinnovato sentimento di unità nazionale sorretto dal CLN. Di quel governo, la cui fiducia venne votata dall’Assemblea Costituente (rimasta in carica fino al gennaio del 1948), facevano parte la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano, il Partito Socialista Italiano e il Partito Repubblicano. Per rivedere una grande coalizione parlamentare è stato poi necessario attendere i tragici anni del terrorismo nero e rosso, i turbolenti anni di piombo, precisamente l’11 agosto 1976, quando il terzo governo Andreotti ottenne la fiducia anche a Montecitorio (dopo il voto favorevole del Senato cinque giorni prima). In quell’occasione il Pci di Berlinguer si astenne dal votare la fiducia – o sfiducia – per l’insediamento del nuovo esecutivo, motivo per cui passò alla storia come “governo della non sfiducia” o di “solidarietà nazionale”.
Il terzo caso analogo si è verificato nel maggio del ’93, quando il Parlamento votò la fiducia a Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca presidente della Banca d’Italia. La maggioranza era formata dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Democratico della Sinistra, dal Partito Socialista Italiano, dal Partito Repubblicano, dal Partito Liberale, dal PSDI e dalla Federazione dei Verdi mentre all’opposizione rimasero Lega Nord, Rifondazione Comunista e Movimento Sociale Italiano. Anche in quel frangente l’Italia – e il mondo – stavano vivendo trasformazioni importanti, tra queste fu di enorme impatto l’accelerazione dei processi d’ingresso nell’Unione Monetaria Europea. Nel novembre dello stesso anno entrò infatti formalmente in vigore il Trattato di Maastricht, già firmato il 7 febbraio del ’92, pilastro dell’ordinamento giuridico dell’Unione che imponeva stringenti requisiti economici ai Paesi aderenti.
Gli ultimi due governi di larghe intese ricadono nel XXI secolo e si sono susseguiti nel passaggio del potere esecutivo. Il primo è stato il governo Monti, rimasto in carica per un totale di 529 giorni dal novembre 2011 all’aprile 2013. Ottenne l’appoggio delle forze di centrodestra uscenti – come il Popolo delle libertà, l’Unione di centro e Futuro e libertà per l’Italia – del Partito Democratico e di altre liste minori di area moderata. Restarono all’opposizione Lega Nord e Italia dei valori. Il governo si insediò in seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla presidenza del Consiglio dei ministri, datate 12 novembre 2011. Ricordato come governo tecnico da gran parte dell’opinione, è stato anch’esso un esecutivo all’insegna della straordinarietà. Il 5 agosto 2011 la Bce aveva inoltrato al premier italiano una lettera firmata dal presidente uscente Jean Claude Trichet e dal suo successore, Mario Draghi. Iniziava così:
«Caro Primo Ministro, Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori. Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali»
La pressione della crisi finanziaria e anni di legiferazione fallimentare e farraginosa avevano fatto saltare lo spread – il differenziale che compara il rendimento dei titoli di stato equivalenti – arrivato a toccare quota 552 punti. L’intervento di un governo di transizione e aggiustamenti sostanziali – si pensi ad esempio alla riforma del sistema pensionistico e alle misure di austerity – è stato ritenuto la scelta migliore dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano. Lo stesso Napolitano affiderà al vicesegretario del Partito democratico, Enrico Letta, il mandato esplorativo per ricercare una maggioranza dopo lo stallo parlamentare del 2013. Dopo quelle elezioni politiche la coalizione di centrosinistra “Italia. Bene Comune”, guidata da Pierluigi Bersani, non riuscì ad ottenere la maggioranza parlamentare pur avendo la maggioranza assoluta a Montecitorio. La “legge Calderoli” prevedeva infatti un premio di maggioranza soltanto per la Camera dei deputati. Per la prima volta in quell’occasione ha partecipato alle votazioni il M5s, istituito da Beppe Grillo nel 2009, e il presidente del Consiglio uscente Mario Monti presentò una propria coalizione sostenuta da liberali e moderati. Tutte le forze citate, ad eccezione di Sinistra, ecologia e libertà e M5s, entrarono a far parte della maggioranza nel governo Letta, ultimo della lista delle grandi coalizioni. Almeno fino ad oggi.
Governo tecnico o politico?
Come più volte sottolineato dal professor Sabino Cassese, giurista già ministro della Funzione Pubblica, la definizione “governo tecnico” cela un paradosso. Seppur di provenienza esterna alla sfera politica, l’attribuzione di un incarico di governo comporta l’ingresso in una sfera di potere, quella dell’esecutivo, ben distinta dalle altre. Questo comporta la politicizzazione dell’incaricato, nel senso che da quel momento egli sarà chiamato a svolgere una funzione politica e ciò prescinde anche dai ministeri, che siano di area umanistica, finanziaria, sociale. Vi è sempre una grande necessità di capacità e conoscenze tecniche nei meccanismi di governo, dagli organismi centrali agli altri livelli di governo minori, ma la cornice nella quale si agisce è in ogni caso l’azione politica. Ma volendo prescindere dalla filosofia dell’inquadramento giuridico e insistere nella classificazione dei governi passati alla storia con questo appellativo – come quelli di Amato, Ciampi e Monti – va considerato che anche il precedente presidente del Consiglio non proveniva dalla classe politica, bensì dal mondo accademico e pertanto possibilmente inquadrabile come profilo “tecnico”. Un ipotetico paragone del “grado tecnico” dei governi Conte I e II e l’esecutivo di Mario Draghi potrebbe risolversi nel segno della continuità, tenendo conto del numero di ministri e sottosegretari non provenienti dalla classe politica. Eppure il governo che in queste ore è oggetto di consultazione sembra possedere, almeno in apparenza, un tasso tecnico superiore, dovuto principalmente al curriculum del presidente incaricato.
L’impressione è che nell’opinione pubblica si sia consolidata la pratica di attribuzione dell’aggettivo tanto discusso in relazione alla spiccata propensione per le materie economiche del reggente, narrativa sostenuta dai media spesso in modo inflazionato. Vale per Monti, presidente della Bocconi dal ’94 e Commissario europeo per il mercato interno dal ’95 al ‘99, e soprattutto per Ciampi e Draghi che hanno entrambi rappresentato il vertice della Banca d’Italia (quest’ultimo, dal novembre del 2011 all’ottobre del 2019, anche della Banca centrale europea). Questi eccessivi e spesso superflui tentativi di classificazione rischiano di destabilizzare e confondere l’opinione pubblica producendo false aspettative. Eccedere nella fiducia ad un governo nato in queste condizioni non è quasi mai una buona idea. Inoltre bisognerebbe aver presente che a differenza dei precedenti esecutivi di larghe intese citati in questo caso il governo nascente non è scaturito da fattori emergenziali, ma da una strategia politica portata avanti da un partito minoritario ben fornito di senatori. Questo non era certamente un buon momento per una crisi di governo né per un governo straordinario, che nei ministeri primari ha selezionato professionalità non politiche. Non è osato affermare che l’attuale governo, per certi versi, può risultare più “antipolitico” del precedente che, seppur nato da un inverosimile rimpasto, non presentava una maggioranza da destra a sinistra nelle camere del Parlamento. Si tratta di un governo non dettato da emergenze esogene o endogene, sostenuto da forze che propugnano idee contrapposte. La fiducia riposta nelle capacità del reggente, anche se grandissima e ben riposta, non deve distogliere l’attenzione dalle priorità dettate dalla realtà dei fatti: l’opposizione alla ripresa del contagio e alla proliferazione delle varianti, l’attuazione della campagna di vaccinazione, la necessità di una attenta pianificazione richiesta dalle tappe dell’agenda politica, con in cima il Recovery plan.
La direzione del governo
Nel discorso tenuto stamattina in Senato Mario Draghi ha riservato attenzione a queste priorità esponendole nel programma che pone al primo posto le vaccinazioni – per le quali saranno messe a disposizione “tutte le strutture possibili” e si cercherà di reperire le dosi più velocemente. Anche la scuola è posta al centro: si prevede di rivedere il calendario scolastico con la possibilità di estensione nei mesi estivi. In quanto all’economia Draghi ha riconosciuto che il precedente piano programmatico per accedere ai fondi di Next Generation Eu ha una buona impostazione generale ma è carente di specifiche scadenze sui target richiesti dalla Commissione, e pertanto deve essere completato. La governance del piano sarà affidata al ministero dell’Economia e ai ministri competenti.
La composizione del parlamento, che riserva alle forze del precedente governo la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato, suggerisce che l’esecutivo nascente possa muoversi nel segno della continuità della linea politica, ma nel frattempo è stato perso del tempo, troppo, dietro ad una crisi di governo evitabile in un momento raramente critico. E' d'obbligo evitare passi falsi perché si potrebbe correre il rischio di ritrovarsi nel pieno della terza ondata, come presagiscono gli scenari peggiori illustrati da numerosi scienziati, tra i quali il professore Andrea Crisanti.
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