Ben poco rimarrà come prima
- Gian Marco Renzetti
- 5 apr 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 21 mar 2021
Dalle interazioni all'informazione. Dalla politica alla democrazia. Dalle relazioni tra gli Stati all'economia. Esiste una cura per guarire le ferite aperte dalla pandemia? Difficile credere che tutto si rimarginerà con la stessa facilità.
Il presente lo conosciamo. Lo stiamo vivendo nervosamente sulla nostra pelle. Come in ogni momento in cui la storia produce un cambiamento radicale, impulsivo, prepotente, oggi subiamo passivamente le misure straordinarie che siamo obbligati a recepire. E come in ogni cambiamento imprevedibile - che forse è chiamato cigno nero proprio perché “è uno scherzo della natura” - dove quest’ultima si manifesta, alla sua azione non corrisponde alcuna reazione da parte dell’uomo, se non quella dell’attesa, della speranza nel futuro, nella cura. Se l’informazione e i media ci hanno subissato di informazioni per ottemperare al “carpe diem” del rimani aggiornato (come spiegato efficacemente qui: https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/la-necessit%C3%A0-di-sapersi-e-saper-informare), solo dopo le prime 3 settimane di lockdown si comincia a discutere dell’immediato futuro, di “fase 2” di “convivenza con il virus”. Questo monito psicologico è ravvisabile nel bisogno di non sentirsi impreparati e sottomessi nel momento di riemergere, di far fronte all'emergenza e re-agire, evidenziando quella differenza con una guerra in cui non c’è nessun “cessate il fuoco”, nessun ritorno alla normalità da un giorno all'altro. La ripresa sarà lenta e graduale.
Il prezzo da pagare
Ripartenza scaglionata e misure di sicurezza ad oltranza. Questo è quel che sicuramente caratterizzerà la fase due: quella della convivenza con il coronavirus. Nell'immediato futuro l’obiettivo primario è quello di ritornare a produrre per non rischiare il default. Fermo restando che chi può farlo continuerà a lavorare da casa, con ogni probabilità i primi a ripartire saranno piccole imprese che garantiscono i servizi più importanti alla società (meccanici, settore agroalimentare e farmaceutico). Tempi inevitabilmente più lunghi per i luoghi potenzialmente affollati quali bar, ristoranti o cinema. Concerti, eventi e discoteche invece vedranno la luce per ultimi o con restrizioni molto severe (difficile immaginare un concerto di beatbox “a distanza di sicurezza”, quindi).
Abituarsi all'idea della distanza interpersonale di almeno un metro, alla limitazione dei contatti anche quando l’emergenza rientrerà. Anche se sarà difficile immaginare tale misura all'interno dei vagoni metro mattutini, o negli autobus delle grandi città. Allo stesso modo vedere indossate mascherine e guanti al posto dell’ombrello, per ripararsi dagli schizzi, entrerà a far parte della vita di tutti i giorni (guai a toccare cibo senza guanti al supermercato). Insomma, abitudini e stili di vita cambieranno drasticamente ed è il caso di dire che usciremo di casa “cambiati”. Non si guarisce tutti insieme
Programmi per le vacanze necessariamente da rivedere. Non tanto perché occorre far ripartire la nostra economia, ma soprattutto perché potremmo essere i primi ad uscirne. In Europa siamo stati i primi a sperimentare l’ira della natura, seguiti a ruota da Spagna e Regno Unito, che in questi giorni registra numeri spaventosi di decessi in crescita (684 il 3 aprile, 708 il 4 aprile: https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/04/coronavirus-uk.html) mentre i decessi totali al 4 aprile in UK segnano il livello raggiunto in Italia tra il 20 ed il 21 marzo; non a caso, il lockdown inglese arriva solo due settimane dopo quello italiano, il 23 marzo. Quello inglese è solo un esempio del fatto che l’emergenza per il Covid-19 potrebbe essere ancora cosa lunga nel resto del mondo quando l’Italia comincerà a ripartire. Sarà inevitabile limitare gli spostamenti da uno stato all'altro per non alimentare la diffusione: il trattato di Schengen viene “messo in pausa” per 30 giorni il 17 marzo - i confini esterni dell’Europa si chiudono ai paesi terzi https://www.agi.it/estero/news/2020-03-17/ue-chiude-frontiere-schengen-coronavirus-7594680/ – e allo stesso tempo è importante non chiudere le frontiere interne per garantire il transito e l’arrivo delle merci (e per non trasformare l’Europa in un continente post pace di Vestfalia). A questo punto qualcosa da domandarsi emerge: se gli Stati dovranno contare su sé stessi nel fronteggiare la crisi economica (e quindi politica) , cosa sarà dell’Unione Europea e cosa ne sarà della cooperazione nazionale? L’emergenza segnerà un punto a favore dei partiti sovranisti, forti del ritorno ad una politica che deve fare i conti con il proprio territorio e i propri cittadini, o ne indebolirà le fondamenta, in virtù della cooperazione internazionale che ha caratterizzato l’arrivo degli aiuti di questi giorni? Proviamo a dare una risposta attualizzando 3 scenari previsti da Samuel P. Huntington nel suo testo più famoso, “lo scontro tra le Civiltà” del 1996.
Possibili scenari
Ogni crisi produce mutamenti, più o meno radicali. Lo abbiamo visto nel novembre dell'89, con il crollo del muro e la fine del comunismo sovietico – evento che Francis Fukuyama segnò come “La fine della storia”, cioè il momento in cui democrazia e liberalizzazione avrebbero gettato le basi per una sorta di civiltà globale, multipolare e armonica – ma lo abbiamo visto anche negli attentati del 2001 e nella crisi del 2008. In tutti questi eventi c’è una linea di continuità che ha, nel bene o nel male, visto come protagonista gli USA. Agli occhi degli esperti le rivalità che hanno interessato il primo ventennio del XXI secolo hanno portato ad un complessivo allontanamento dall'egemonia (nord)americana in cui l’isolazionismo dell’amministrazione Trump è solo la punta dell’Iceberg.
La crisi che impatterà su tutto il mondo, non provenendo da nessuno Stato in particolare, ed essendo affrontata da tutti con le stesse armi (non includendo in questo “scontro” i paesi meno rilevanti, cioè quelli in cui la crisi sarà peggiore) cambierà le carte in tavola e gli equilibri di potere, vediamo come.
1. Il tramonto della democrazia liberale
I fautori della “civiltà globale” dovranno ricredersi all'evidenza che la trasformazione della civiltà ha cambiato senso di marcia. La stessa copertina di ”Internazionale” di oggi titola: “Emergenza coronavirus negli Stati Uniti: il fallimento del paese più ricco del mondo”. Un titolo forte che riconosce “l’impotenza della superpotenza”. Dalla “proliferazione” dell’occidentalesimo (inteso come fede culturale nel fatto che il modello occidentale sia il migliore da seguire per modernizzarsi) si giunge all'ingresso prepotente della Cina nelle dinamiche di potere. Gli ultimi 20 anni hanno testimoniato un’ascesa della cultura sinica mai vista prima e, più importante di tutto, non più basata su un modello liberal – democratico. Se questo modello fornisse un’alternativa a quello attuale (e già vediamo come lo stia facendo: https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/cina-solidariet%C3%A0-dis-interessata-nel-2020), avremmo di nuovo un mondo bipolare, come nella guerra fredda, ma lo scontro sarà tecnologico e non militare.
2. Lockdown e sovranismo
Una volta usciti dall'isolamento domestico, potremmo ritrovarci in quello nazionale. Questo potrebbe facilmente riportare in auge temi cari ai partiti più sovranisti europei innescando un processo a catena che significherebbe la fine dell’Unione Europa per come la conosciamo. Potrebbero andarsi a costituire più fronti all'interno dell’Europa, con la classica distinzione tra paesi conservatori e paesi progressisti. In questo scenario si tornerebbe ad un modello statalista in cui gli equilibri di potere si bilanciano nel perseguimento dei propri interessi, ognuno con una politica comune. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha sfidato vis à vis il potere politico statale: il risultato dello scontro è ancora da vedere ma mai come prima d’ora il ruolo del governo nel perseguire un “modello nazionale” si rivela essere fondamentale (maggiori dettagli qui: https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/stato-d-eccezione-cos-%C3%A8-e-come-funziona)
3. L'antivirus della solidarietà
È veramente così lontano da ogni previsione lo scenario in cui viene messa da parte la competizione globale tra le superpotenze in virtù di un futuro comune per l’umanità? I tempi non sono ancora abbastanza maturi per ipotizzarlo ma se la guerra fredda ha prodotto una bipolarità ideologica (disinnescata dalla supremazia occidentale) perché la crisi sanitaria del coronavirus non potrebbe dare vita ad una nuova cooperazione economica mondiale per non lasciare indietro nessuno? D'altronde è quello che è avvenuto e che sta avvenendo ora, quando paesi amici e alleati ritrovano sentimenti diplomatici che sembravano perduti: chissà se la Cina offrirà lo stesso trattamento che ha riservato per l’Italia per gli Stati Uniti, in un’ottica di solidarietà globale.
Ogni Stato, una volta curati i malati, dovrà tornare a curare i propri interessi e la propria economia ma come in guerra (e forse questo è l’unico paragone azzeccato in cui menzionare la guerra per l’emergenza che stiamo vivendo) più alleati si hanno, più sarà facile ricostruire.
Per approfondire
Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, trad. it. di D. Ceni, Rizzoli 2009
Samuel P. Huntington, Lo scontro tra le civiltà, trad. it. S. Minucci, Mondadori 2000
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