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La necessità di sapersi e saper informare

  • Immagine del redattore: Maurizio Travalloni
    Maurizio Travalloni
  • 3 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Informazioni che cambiano troppo spesso, importante più che mai potersi orientare in un fiume in piena di notizie diverse tra loro.

31 gennaio 2020, scoppia il caso coronavirus in Italia: una coppia di turisti cinesi trovata positiva viene trasportata da un albergo nel centro di Roma all’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani. Da lì in poi un susseguirsi spasmodico di notizie, numeri, dichiarazioni e pronte smentite. Specie al palesarsi del virus su scala nazionale dopo gli ormai arcinoti focolai della bergamasca.

Si è venuta quindi a creare in un momento di paura generalizzata e incontrollata una sorta di “bulimia dell’informazione”. Parlano chiaro i dati Audiweb che circolano dagli scorsi giorni sul mercato: tutte le principali testate online hanno aumentato notevolmente il loro traffico online allo scoppio dell’emergenza. Il sito del Corriere della Sera ha visto passare la media di utenti unici settimanali dagli oltre 14 mln delle quattro settimane dal 20 gennaio al 16 febbraio (prima della crisi coronavirus) ai quasi 22 mln della settimana tra il 2 e l’8 marzo. Un incremento più del 55%. La Repubblica ha avuto una crescita di oltre il 60%. Aumenti in percentuali diversificate anche per Il Messaggero (+27,8%), Tgcom24 (+30%), Fanpage (+32%), Il Fatto Quotidiano (+39%). E ancora l’Ansa, con un aumento di quasi il 120%, Il Sole 24 Ore (+116%) e RaiNews (+116%). Paradossale? Certamente no considerando il tempo libero per i cittadini, obbligati dopo il lockdown a trovare anche un modo per passare il tempo. Tuttavia, ciò risulta interessante soprattutto alla luce dell’insofferenza tipica del rapporto cittadini-media tradizionali. Ritorno di fiamma quindi? Forse un riavvicinamento obbligato, alla luce della psicosi da fine del mondo e la morbosa voglia di sapere chi sta messo peggio in ogni parte del pianeta.

Ecco quindi che diventa ancora più importante informare in modo coscienzioso, specie in un momento in cui le poche informazioni risultano incomplete (punto che affronteremo di seguito) e molto inclini al cambiamento. Si auspica infatti che i media possano costituire una bussola nella quarantena (ops, vita) di tutti i giorni, ma c’è da chiedersi come possano farlo in presenza di dati tanto mutevoli. È vero, ricordiamo che si parla di un virus del tutto nuovo le cui informazioni si scoprono in base agli studi che si fanno giorno per giorno. Ed è altresì vero che esiste il sacrosanto diritto all'informazione, tuttavia fare da cassa di risonanza ad ogni presunta scoperta che viene poi smentita potrebbe cominciare a rivelarsi controproducente.






Cerchiamo di fare il punto della situazione sui alcuni dei cambi di fronte dall’inizio dell’emergenza:


1. Le prime informazioni parlavano di trasmissione del virus solo al verificarsi di stretto contatto con una persona con sintomi già sviluppati, e via alla divulgazione della notizia tutto sommato confortante. Poco tempo e si scopre che il Covid-19, oltre ad essere contagiosissimo, ha al contrario una carica virale alta anche in assenza di sintomi


2. Se all’inizio sembrava improbabile che animali da compagnia potessero essere infettati dal nuovo coronavirus, sono recenti invece le notizie dei primi casi di cani e gatti adesso contagiati dai propri padroni. Anche se, fortunatamente, va detto che non c’è ancora ragione di pensare che gli animali domestici possano essere vettori del virus


3. La smentita più recente e forse più importante: dati troppo deboli e assenza di reali prove scientifiche che il virus rimanga sospeso nell’aria un mese fa. E oggi? Oggi abbiamo nuovi studi che dimostrerebbero invece che le particelle rimangono sospese per aria per più tempo di quanto stimato e quindi l’Oms si prepara a rivedere le norme con l’ormai probabile obbligatorietà della mascherina


Questi sono solo tre esempi che dimostrano la difficoltà di trovare al momento informazioni stabili nella lotta a questa pandemia. Ciò non vuole costituire una messa in stato di accusa della scienza né dell’OMS, per carità, ma anzi un invito alla presa di coscienza in primis degli enti di informazione e poi di noi lettori. Intervistare a distanza di un mese il dottor Burioni che afferma - alla Dottor Jekyll e Mr. Hyde – prima una cosa e poi l’esatto contrario non è utile ad un’opinione pubblica tendenzialmente impermeabile al sistema di informazione e che rischia in un momento come questo di non sapere più a chi e cosa credere.

La soluzione al problema? Lasciar lavorare la scienza ed evitare salotti televisivi pieni di medici e rincorse al virologo o infettivologo più in voga per un’intervista. Il rischio è finire per preferire Barbara D’Urso che prega e si lava le mani in diretta nazionale, c’è meno incertezza nel valutare.

Per approfondire:











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