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La nuova pandemia, un secolo dopo

  • Luigi Sorrentino
  • 28 mar 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 21 mar 2021

Sono passati 102 anni dall’esplosione dell’ultima pandemia globale, allora il nemico era l’influenza spagnola, oggi è il Covid-19: un avversario subdolo, con eccezionale capacità di diffusione, che stiamo imparando a conoscere poco alla volta. Mai nella storia dell’Italia Repubblicana erano stati varati decreti tanto costrittivi nei confronti delle libertà individuali. Da quando si è preso atto per la prima volta dell’esplosione di una nuova epidemia, il 20 gennaio in seguito alle dichiarazioni del presidente cinese Xi Jinping, sono passati 2 mesi. In Italia ci si accorge del virus poche settimane dopo (non vi è certezza in ogni caso che non circolasse già precedentemente) e la situazione diventa in breve tempo estremamente delicata. Si registra un tasso di letalità molto più elevato rispetto a quello emerso dalle analisi di altri Paesi colpiti. Al 26/03 in Italia sono 8.175 le persone decedute a causa del Covid-19, su un totale di 80.539 risultate positive; la letalità supera il 10% (in Lombardia sfiora addirittura il 14%) [1] mentre in Cina non va oltre il 4,03% e corrisponde al 7,27% in Spagna, al 7,35% in Iran, allo 0,59% in Germania e all’1,45% negli Stati Uniti mentre la percentuale media della letalità mondiale è invece pari al 4,58% [2]. Inevitabile dunque che il dato italiano abbia suscitato interesse e fatto sorgere ragionevoli dubbi. All’elevato numero percentuale di persone decedute va poi aggiunto un altro indicatore di rischio: in Italia una non trascurabile percentuale del personale medico sanitario è risultata contagiata dal Covid-19; al 20/03 la federazione che aggrega gli Ordini dei medici comunica che sono 3.559 gli appartenenti al personale medico sanitario che risultano affetti da Covid-19, inoltre in riferimento al totale della popolazione contagiata al giorno 20/03 essi rappresentano circa il 10% [3]. Il 23/03 sulle pagine del Sole24ore si afferma che tale dato è lievitato fino a contare 4.824 professionisti sanitari positivi, pari a circa il 9% dei casi totali, con un aumento di 1.225 contagiati in 3 giorni [4]. È un dato eclatante e allarmante che implica l’ossimorico incremento delle probabilità di essere contagiati da coloro che sono impegnati nel fornire le cure sanitarie. Le anomalie riconducibili al presunto tasso di letalità della patologia in Italia e all’elevata percentuale di professionisti medico sanitari positivi rappresentano prospetti di atipicità molto diversi: nel primo caso ribaltabili poiché in merito al dato sulla letalità, se si considerano alcune variabili rilevanti come l’età media e la speranza di vita residua o il gran numero di possibili positivi asintomatici sconosciuti, il dato italiano risulta notevolmente più contenuto; nel secondo caso l’anomalia del dato e le conseguenti criticità risultano, per forza di cose, maggiormente imputabili ad una qualche dose di superficialità che, seppur manifestandosi solo attraverso una lieve disattenzione, ha comportato un grave passo falso poiché questo particolare nemico che il fato ci ha posto dinanzi richiede costantemente dedizione alla causa e approfitta di ogni sottovalutazione. Molto nette in tal senso sono le accuse del Presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, il quale ha dichiarato che: “Un mese dopo il caso 1 di Codogno i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell'impreparazione organizzativa e gestionale all'emergenza: dall'assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari; dalla mancata formazione dei professionisti sanitari all'informazione alla popolazione". Tutte le attività elencate “erano appunto previste dal 'Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale', predisposto dopo l'influenza aviaria del 2003 dal Ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006" [5]. Le curve di contagio evidenziate dalle analisi di questo trimestre inziale indicano che ne avremo ancora per molto e se a ciò si aggiungono le importanti mancanze elencate dal presidente della fondazione Gimbe, appare ovvio dedurre che è necessario salvaguardare in primo luogo l'attività dei professionisti medico sanitari in quanto essi costituiscono la prima linea di difesa.



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