Perché i mafiosi escono dalle carceri?
- Gian Marco Renzetti
- 28 apr 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 mar 2021
La politica con l'acqua alla gola e i mafiosi fuori dal bagno penale. Cerchiamo di fare chiarezza in una vicenda ancora poco chiara
Alle prese con l'emergenza, il paese sembra prestare poca attenzione alla situazione dei detenuti più "delicati". In un articolo del 17 aprile, l’Espresso rivela un’inchiesta che porta alla luce una circolare del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) in cui vengono sollecitati i direttori delle carceri a segnalare detenuti che presentano condizioni di salute critiche e che si trovano in età avanzata (al di sopra dei 70 anni - sono 74 i boss al 41-bis con questa caratteristica) al fine di provvedere ad un eventuale e provvisorio mutamento della pena in arresto domiciliare. La smentita del DAP non si è fatta attendere: l’amministrazione sottolinea che la circolare ha finalità
esclusivamente informativa per i magistrati, incaricati di ottenere un quadro chiaro della salute dei detenuti, per prevenire la diffusione del virus nelle carceri. Non è chiaramente il DAP che procede alla scarcerazione o al mutamento della pena, questo è compito della magistratura che, una volta esaminati i casi, decide se è opportuno o meno che alcuni detenuti continuino a scontare la pena in casa. È opportuno rendere chiaro che il potere giudiziario non decide con propria discrezione se un detenuto può o meno lasciare il carcere; i tribunali non fanno altro che applicare le leggi emesse dal parlamento e ratificate dal governo. In questa vicenda i procedimenti che portano alla scarcerazione provengono sia da leggi ordinarie (antecedenti all'emergenza) sia dal decreto "Cura Italia" che è stato molto discusso proprio dal CSM.
La situazione attuale
Il fulcro del dibattito ruota intorno al fatto che sono in molti i detenuti, anche in regime di 41-bis (cioè il particolare tipo di detenzione riservata ai membri delle organizzazioni per delinquere di stampo mafioso), ad essere in possesso dei requisiti d’età per la pena domiciliare. Ad oggi, infatti, ad essere usciti dalle celle sono già diversi boss della criminalità organizzata nostrana.
Francesco Bonura, 78 anni, braccio destro di Bernardo Provenzano, potrà scontare gli ultimi mesi di reclusione ai domiciliari. Lo ha deciso il tribunale di Sorveglianza di Milano il 21 aprile, applicando le leggi ordinarie e non quelle speciali previste dal decreto ‘Cura Italia’. Tuttavia il giudice nel dispositivo scrive che la scarcerazione è anche legata all’emergenza Covid-19. Bonura doveva (e dovrebbe, visto che la scarcerazione è temporanea) scontare ancora 1 anno di carcere.
Pietro Pollichino, membro di Cosa Nostra a Corleone, 78 anni, è stato scarcerato dal tribunale di sorveglianza di Palermo. Condannato a 6 anni e 8 mesi per associazione per delinquere di stampo mafioso, Pollichino doveva scontare un altro anno; intanto per 9 mesi rimarrà ai domiciliari a Corleone dove potrà uscire per due ore al giorno con restrizioni.
Altro boss, Rocco Santo Filippone, al centro del processo su “Ndrangheta stragista”, su ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 10 aprile, verrà scarcerato per motivi di salute legati al coronavirus; sconterà anche lui la pena ai domiciliari.
Vincenzino Iannazzo, boss di Lamezia, è a forte rischio di infezione da Covid-19 e per questo sconterà la pena a casa. Lo ha deciso il 3 aprile la Corte d’Assise d’Appello. Sconterà la pena con indosso il braccialetto elettronico.
Pino Sansone, 69 anni, vicino di casa Totò Riina e boss dell’Uditore, sconterà la pena a casa su decisione del Tribunale di riesame di Palermo per ragioni legate alle fragili condizioni di salute. Era in attesa di giudizio.
Dopo aver scontato 22 anni di carcere, il 22 aprile il Tribunale di sorveglianza di Milano mette in detenzione domiciliare Domenico Pierre, ‘ndranghetista, per ragioni legate alla salute del detenuto.
Insomma, mentre i cittadini rimangono reclusi in casa, vi è la possibilità, per alcuni detenuti, di scontare il resto della pena fuori dal carcere, approfittando dell’emergenza in atto. Tuttavia il nostro ordinamento penale si basa su principi che pongono la salute del reo in primo piano (vedi principio di proporzionalità), sia per ragioni legate alla salute degli altri individui, sia per la particolare situazione in cui i detenuti si trovano, la quale rende più complicato un intervento sanitario costante ed efficace al cento per cento.
Cosa permette ai mafiosi di lasciare il carcere?
L’eccezionalità della situazione permette ai mafiosi di godere di un allentamento delle misure cautelari?
La risposta è sì. L’articolo 275, comma 4-bis, del codice di procedura penale disciplina che la custodia cautelare in carcere non può essere disposta quando l’imputato è “persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria […] o da altra malattia particolarmente grave”. Tuttavia, per i delitti di criminalità organizzata, questo meccanismo risulta più difficile da applicare perché devono sussistere degli elementi che rendono necessaria la reclusione in istituto diverso da quello carcerario; la sopracitata circolare del DAP aveva proprio questo intento. Gli accertamenti medici servono per verificare che effettivamente il detenuto si trovi in una situazione di salute tale da necessitare la revoca della misura di custodia cautelare in carcere. Nel fare questo il giudice tiene conto anche di altri elementi, quali l’età dell’individuo (o l’entità della pena residua da scontare) la
condotta o la natura del reato per il quale è stato incriminato.
Qual è il rischio?
Secondo quanto riportano i quotidiani, tutti i boss usciti dalle carceri hanno fatto leva sull’emergenza pandemica in corso. Pur essendo ormai personaggi “pensionati” dall’ordine mafioso il loro ruolo simbolico
resta comunque forte e rappresenta una sconfitta (l’ennesima) per uno Stato costretto a scendere a patti con un sistema ben più organizzato di quanto sembri.
Il conflitto politico è molto più mediatico che pratico, il guardasigilli Bonafede avvisa che un nuovo decreto (il dl Aprile) per frenare l’uscita dalle carceri arriverà a breve, ma intanto si dimette Francesco Basentini (anche se non ha ancora presentato le carte ufficiali), capo del DAP, e viene inserito, in attesa delle del sostituto, il vicedirettore Roberto Tartaglia: 38 anni consulente per la commissione antimafia, è stato pubblico Ministero a Palermo per 10 anni.
Nel nervosismo generale di questo delicato periodo la criminalità organizzata se ne sta approfittando, come ha sempre fatto, mentre la politica cerca di salvare il salvabile ricorrendo a dimissioni o assunzioni di responsabilità. La Commissione Antimafia può ben poco di
fronte alle speculazioni politiche di alcuni partiti che al giorno d’oggi rappresentanto l’evergreen della politica, ma la preoccupazione resta, specialmente perché mentre la lotta politica frena l’apparato statale, la criminalità organizzata continua la sua corsa in solitaria.
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