Ripensare la società del domani tenendo conto di indicatori che non rientrino in parametri esclusivamente economici come quello relativo al prodotto interno lordo. Difficile, certo, ma non impossibile.
«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. […] Il nostro PIL ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana. Comprende serrature speciali per le nostre porte e prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la scomparsa delle nostre bellezze naturali nella espansione urbanistica incontrollata. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l'intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta […]»
1968. Robert Kennedy si trova alla Kansas University per tenere un discorso, uno di quelli importanti che lasciano un solco indelebile e passano alla storia. L’ex senatore statunitense e fratello del 35esimo presidente Usa John Fitzgerald Kennedy – assassinato nel ’63 – muove un attacco frontale al PIL come indicatore unico atto alla valutazione del benessere in una società, dimostrandosi più che lungimirante per i suoi tempi. Muore pochi mesi dopo, vittima anch’egli di un attentato a Los Angeles dopo la vittoria nelle elezioni alle primarie di California e Dakota del Sud e l’ormai lanciata presidenza della Casa Bianca. Di queste vicende rimangono l’importanza del messaggio e immagini in un bianco e nero che col tempo è virato al seppia, d’altronde sono passati più di cinquant'anni. Eppure, i problemi di ieri sono gli stessi di adesso, solo che le immagini ora le abbiamo nitide e a colori. Ma andiamo per gradi. Cominciamo col definire cos’è il PIL e a cosa serve. Stando a quanto riporta il portale online dell’Enciclopedia Treccani (vedi http://www.treccani.it/enciclopedia/prodotto-interno-lordo_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/), il prodotto interno lordo “è pari alla somma dei beni e dei servizi finali prodotti da un paese in un dato periodo di tempo. Si dice interno perché si riferisce a quello che viene prodotto nel territorio del paese, sia da imprese nazionali sia da imprese estere. […] È considerato uno dei principali indicatori della ricchezza complessiva di un Paese, mentre il PIL pro capite (ovvero PIL diviso per la popolazione), fornisce una misura del benessere medio dei cittadini. Questo però non considera l’economia illegale (traffico di droga, rapine, prostituzione, etc.) […] mentre include invece quella che viene chiamata economia sommersa o il cosiddetto lavoro nero”. E pensare che nel 2013 era stato introdotto dall’Istat un nuovo indicatore economico: il BES. Acronimo di benessere equo sostenibile, questo affianca al benessere economico salute, istruzione e formazione, rapporto tra lavoro e tempo libero, relazioni sociali, benessere soggettivo, ricerca e innovazione, qualità dei servizi, ambiente. Un indice di più ampie vedute quindi. Difficile che nel breve periodo si sostituisca al PIL (alla faccia del breve periodo, sono già passati sette anni...), tuttavia sarebbe incoraggiante se, slogan politici a parte, potesse cominciare veramente a costituire la chiave per orientare le scelte politiche e di governo. Per adesso, invece, dobbiamo accontentarci dei soli rapporti Istat annuali sul BES. Ben poco.
Perché parlare di PIL e BES proprio adesso? Perché in tempi di emergenza pandemica, bracci di ferro con l’Unione europea e imminente crisi economica è necessario forse rivedere l’indiscutibilità di nozioni come il PIL. Venerato alla stregua del monolito kubrickiano di “2001: Odissea nello spazio”, si è consolidato negli anni come uno dei pilastri inamovibili al centro delle azioni di governo assieme al combinato disposto deficit-PIL e debito-PIL. Joseph Stigliz, economista statunitense premio Nobel per l’economia nel 2001, interpellato dall’Huffpost (vedi qui https://www.huffingtonpost.it/entry/crisi-peggio-del-2008-sospendere-il-patto-di-stabilita-e-crescita_it_5e67da52c5b60557280cace4) affermava oltre un mese fa la necessità di sospendere il Patto di stabilità e crescita (poi effettivamente sospeso dopo qualche settimana). E diceva ancora: “Non puoi dire all’Italia, con l’emergenza che sta attraversando, ‘No, non puoi costruire gli ospedali perché sfori sul bilancio’. […] Non puoi mettere a rischio gli italiani solo per difendere delle regole che tra l’altro non hanno mai avuto giustificazioni economiche. Il 3 per cento del rapporto deficit-PIL, il 60 per cento del rapporto debito-PIL sono sempre stati numeri arbitrari che hanno costretto la crescita dell’Italia, paese che già prima di questa crisi aveva problemi col bilancio. Ora, dire che qualcuno debba addirittura morire per rispettare questi numeri mi sembra davvero eccessivo. […] Occorre invece sbarazzarsi dei criteri del Patto di stabilità e crescita, eliminare la regola del 3 per cento e sostituirla con una regola che semplicemente incoraggi gli investimenti nell’economia verde. A maggior ragione ora che abbiamo davanti questa emergenza legata al coronavirus: è ovvio che bisogna sospendere e riformulare le regole”.
Parole nette e decise di una figura autorevole anni luce da chi scrive e che non lasciano troppo spazio all'interpretazione, con la speranza che possano scuotere le coscienze europee e spingerle ad una ridefinizione delle regole. Non per l'Italia, ma per l'Europa tutta. Una ridefinizione che passa inevitabilmente anche per uno spodestamento del PIL.
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