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Andrea Cantelmo

Cambiano i toni verso gli autoritarismi?

Grande scalpore in tutto il mondo per le parole pronunciate dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, che nella conferenza stampa dell’8 aprile ha definito il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, un dittatore.



(Da destra: Ursula von der Leyen, Recep Tayyip Erdogan, Charles Michel)



Le dichiarazioni sono successive al cosiddetto Sofagate, l’incidente diplomatico avvenuto ad Ankara durante l’incontro tra i vertici dell’Unione Europea ed Erdogan che ha visto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, relegata su un divano laterale, mentre Charles Michel (presidente del Consiglio Europeo) ed Erdogan erano seduti in poltrona in posizione paritaria. Il tema principale dell’incontro riguardava la prosecuzione dei finanziamenti europei in favore della Turchia per la gestione dei migranti. Tema di assoluta importanza che però è stato totalmente oscurato dalla mancanza della poltrona anche per von der Leyen che ha scatenato forti reazioni sui media e sui social dei paesi occidentali, con veementi accuse per la Turchia ed Erdogan di violare costantemente la parità di genere. Non sono mancate le critiche anche per Michel, reo di non aver ceduto la poltrona a von der Leyen e di aver accettato di accomodarsi. Inoltre, è già in atto una petizione sostenuta da un vasto numero di parlamentari europarlamentari che chiede la testa del presidente del Consiglio Europeo il quale, in conferenza stampa, ha cercato di difendersi sostenendo di “non aver voluto assumere un atteggiamento paternalistico nei confronti di Ursula von der Leyen e aver preferito non scatenare un incidente diplomatico prima di un incontro così importante”. Unanime il biasimo per il grave errore di protocollo diplomatico, ma il più duro è stato proprio Mario Draghi che non ha usato mezzi termini e ha definito Erdogan un dittatore. Immediata la reazione della Turchia che ha convocato l’ambasciatore italiano il quale, però, non ha presentato scuse ufficiali per le dichiarazioni del premier, causando – come risposta – la sospensione dei contratti in essere delle aziende italiane con la Turchia. Nonostante il boicottaggio all’economia italiana, non dovrebbe essere presa in considerazione una ritrattazione. Se questa linea dura dovesse essere mantenuta potrebbe segnare un punto di svolta per la politica estera italiana ed europea. Infatti, per la prima volta sarebbero anteposti i diritti umani agli interessi economici. Un segnale in tal senso è arrivato anche dal presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, quando lo scorso 18 marzo ha risposto “Sì, lo penso” al giornalista che gli chiedeva se ritenesse Putin un killer. In questo caso, oltre alle numerose critiche dei falchi americani nei confronti di Biden, si sono levate le richieste di scuse formali da parte dei diplomatici russi che però non sono mai arrivate. Dunque, un fil rouge sembra collegare le affermazioni di Draghi e Biden. Potrebbero essere le prime avvisaglie di un cambio di strategia da parte dei leader occidentali nei confronti di alcuni uomini forti che con metodi poco limpidi sopprimono l’alternanza democratica. Ovviamente, sarà molto più complesso far seguire i fatti alle parole poiché si tratta di un processo collettivo il cui esito dipende anche dall'azione congiunta dell'Unione Europea la quale non sta attraversando un periodo di buona coesione interna. Eppure, un primo passo sembra fatto: esprimere pubblicamente la disapprovazione per gli autoritarismi di Erdogan e Putin che da anni, a seguito di tornate elettorali discutibili, esercitano il potere in modo completo, riducendo ai minimi termini gli antagonisti, e questo perché hanno potuto contare sulla connivenza delle potenze occidentali, spesso ree di essere intervenute in controversie estere per tutelare i propri interessi economici nazionali ma anche spinte a chiudere un occhio a causa dell'indispensabilità di rapporti commerciali e diplomatici, con Russia e Turchia, quella che Draghi ha definito "necessità di cooperazione".

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