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Luigi Sorrentino

Cosa resta del sogno americano?

Alle 21:00 del 29 settembre, ora americana, è andato in onda il primo dibattito tra il presidente in carica Donald Trump, ed il suo sfidante, il democratico Joe Biden. Il primo confronto prima delle votazioni (che si terranno il 3 novembre) è storicamente determinante. Inoltre l’inedita situazione globale che tutti stiamo vivendo - ma che ha colpito molto duramente gli Stati Uniti - rappresenta un ulteriore motivo di rilievo politico di questo primo, accesissimo dibattito. La popolazione statunitense sarà a breve chiamata a scegliere il nuovo presidente e inevitabilmente pondererà la propria scelta anche in base a quanto vissuto nel corso di questo 2020. Un anno a dir poco particolare in cui la percezione della realtà è stata completamente sovvertita.


Black Lives Matter

Non solo le conseguenze della pandemia da Covid-19, ma anche i fiumi umani che hanno protestato nelle maggior città degli U.S.A. al grido “Black Lives Matter” hanno esteso a grandi fette della popolazione un dissenso intransigente e non trascurabile. Trump ha gestito male l’emergenza sanitaria, almeno su questo non vi sono dubbi, e al contempo non è stato capace di offrire (o non ha voluto fornire) un’adeguata risposta alle violenze razziste che affliggono da secoli gli Stati Uniti ma che quest’anno hanno raggiunto un’attenzione mediatica globale e persistente, tanto da ingenerare analoghi movimenti di protesta in molte altre parti del pianeta. La morte di George Floyd a Minneapolis ha fatto letteralmente straripare gli argini della rabbia civile, che si è riversata nelle strade per manifestare. Successivamente i colpi di arma da fuoco esplosi dalla polizia su Jacob Blake a Kenosha hanno reso ulteriormente instabile una situazione estremamente delicata. Nella stessa cittadina del Wisconsin molte persone hanno affollato le strade per protestare e la contro-offensiva non si è fatta attendere. Non si trattava soltanto dei poliziotti impegnati a sedare quella che ormai si era trasformata in una rivolta. Gruppi di cittadini bianchi si erano organizzati in pseudomilizie, armati di pistole e fucili d’assalto, come quello di Kyle Rittenhouse, il 17enne che quella notte uccise due persone per poi dirigersi verso le auto della polizia che gli facevano segno di andare. Dopo l’accaduto, anziché stemperare saggiamente il clima, più che mai teso, il presidente Trump ha semi-giustificato il giovane killer:


“Stiamo valutando tutto quanto. Quella era una situazione particolare. Lo avete visto il filmato, lo stesso che ho visto io. Stava cercando di scappare dai manifestanti sembra così. Dopodiché è caduto ed è stato attaccato con violenza. È tutto sotto indagine, ma credo fosse nei guai. Probabilmente sarebbe rimasto ucciso”.

Nonostante il parere contrario del governatore del Wisconsin, il democratico Tony Evers, Trump si è ugualmente recato a Kenosha ed ha proferito un discorso che ha sollevato molte critiche. Il presidente conservatore ha affermato che quelli visti nella cittadina non erano atti di manifestazioni pacifiche ma “terrorismo interno”, rivolte “anti-polizia” e “anti-americane”.




La gestione della pandemia: superficialità e fake news

Il Covid-19 è sicuramente un nemico comune a tutti ma per il presidente statunitense si sta rivelando ben più di una spina nel fianco. Assieme alle proteste del movimento Black Lives Matter la gestione della crisi sanitaria rappresenta il principale ostacolo politico alla rielezione di Trump. “The Donald” non è l’unico sovranista del mondo ad aver strizzato l’occhio ai negazionisti. Bolsonaro, Johnson, Salvini sono soltanto alcuni dei leader politici che hanno deciso di utilizzare la stessa strategia, tuttavia se in Brasile il consenso di Jair Bolsonaro è addirittura risalito, quello di Johnson e Trump è vittima di una costante discesa (il premier britannico ad agosto è stato superato da Keir Staermer mentre Trump dista attualmente circa tredici lunghezze da Biden).

7,31 milioni di casi accertati e oltre 208mila decessi non possono essere una casualità. Gli appelli alla prudenza di Anthony Fauci sono caduti nel vuoto e nonostante l’aumento repentino dei test a disposizione le scelte tardive in merito all’eventualità di proclamare un lockdown e l’approccio superficiale alla realtà dei fatti hanno comportato l’acuirsi della crisi sanitaria e l’aumento semi-esponenziale dei contagi. L'alibi del presidente miliardario si regge sui ripetuti attacchi alla Cina, ritenuta responsabile della diffusione del Covid-19, ribattezzato da Trump "China-virus". Ogni informazione che smentisca le sue posizioni è ovviamente una fake news.


Lo sfidante incerto

Chi è Joe Biden? Senatore del Delaware dal 1973 al 2009 e in seguito Vicepresidente degli Stati Uniti dal 2009 al 2017, durante la presidenza di Barack Obama. Secondo le correnti più radicali che contrastano l’establishment democratico Biden non è il volto ideale del partito. Laureato in scienze politiche ha poi conseguito una specializzazione in legge. È espressione della matrice liberal-democratica del partito, quella dominante. Un moderato insomma, da cui non ci si aspetterebbero particolari stravolgimenti progressisti, caratteristica questa che lo discosta non poco dal suo precedente sfidante “in casa”, Bernie Sanders, ma che potrebbe calamitare verso i democratici molti indecisi. Alcuni di essi potrebbero addirittura essere elettori tendenzialmente conservatori, scontenti di Trump e del suo operato. La strategia sottesa alla candidatura di Biden rivela dunque la volontà di creare una base pluralistica alla quale è connessa l’esigenza del partito democratico di fugare il pericolo di una rielezione dell’attuale presidente.




Il confronto

Il confronto tra i due candidati alla Presidenza è stato anticipato da un travolgente scoop del New York Times che ha per oggetto le finanze dell’attuale presidente, accusato di aver eluso il sistema di imposte e di sfruttare la sua carica politica per incrementare gli utili delle sue società, le uniche che non presentano bilanci in disavanzo. Nell’anno del trionfo elettorale Trump ha versato nelle casse erariali soltanto 750 dollari di imposte sul reddito, analogo è il versamento per l’anno successivo. Lo scandalo fiscale ha spianato la strada allo sfidante democratico che tuttavia non ha saputo sfruttare gli assist che gli sono stati forniti anche da alcuni esponenti del Congresso, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez la quale ha asserito che Trump ha contribuito a finanziare il sistema “meno delle cameriere e degli immigrati privi di regolare documentazione”.

La partita è iniziata in discesa per Biden, e Trump non ha perso occasione per rilanciare la sua linea basata su “Law and Order” tentando di rinsaldare la propria base elettorale. Tuttavia in molti si aspettavano una formale scomunica dei suprematisti bianchi che non è arrivata: un autogol per Trump che ha perso l’occasione di attrarre consensi moderati tra gli indecisi e di rinforzare ulteriormente la sua base, di cui l’estrema destra ultracattolica e razzista non costituisce la maggioranza. Quanto alle forme del dibattito il conservatore si è dimostrato eccessivamente aggressivo interrompendo ripetutamente lo sfidante ed il moderatore, sovrapponendosi ad essi ed avvalendosi di insulti diretti che dovevano essere evitati. Biden non si è lasciato immobilizzare la lingua dinanzi alle ingiurie ricevute ed ha fornito anch’egli prova di immaturità politica e scarsa predisposizione al dialogo. Certamente va sottolineato che tra i due il democratico è risultato meno offensivo e retorico del presidente in carica limitandosi a definirlo un “clown”. Ma aldilà delle modalità stilistiche del confronto l’evidenza peggiore è emersa riguardo agli argomenti. È stato un confronto pressoché privo di contenuti, diversi rispetto a quelli che la politica statunitense ha offerto in passato. Se lo scontro Kennedy/Nixon ha premiato la percezione estetica e la retorica convinta quello Ford/Carter ha sancito la possibilità di ribaltare il pronostico in seguito ad espressioni vaghe e imprecise; se la sfida Carter/Reagan ha evidenziato l’importanza di mostrare una alternativa valida (“Are you better off than you were four years ago?”) il confronto Clinton/Bush pose in risalto l’importanza di sapersi immedesimare nelle diverse fasce della popolazione. Non tutti questi dibattiti sono stati arricchiti da preziose nozioni economiche o sociologiche ma almeno sono stati caratterizzati da una strategia che possa definirsi tale. Lo scontro/confronto tra Trump e Biden ha invece ignorato le domande calde che premono alla popolazione. Si ha intenzione di predisporre un Green New Deal? Come verrà gestita la pandemia? Come si ridurranno le ampie disuguaglianze che separano le diverse fasce (o i diversi ceti) della popolazione?

I candidati preferiscono glissare e continuare – figuratamente – a prendersi a sberle in diretta mondiale.


I sondaggi

L’atteggiamento da presidente distante, che guarda ogni cosa dall’alto e critica apertamente senza mai tornare sui propri passi (salvo qualche rarissima eccezione) non ha giovato a Trump che ora si ritrova sotto di 14 punti nei sondaggi elettorali. Anche i principali osservatori dell’evoluzione del consenso sono d’accordo nell’affermare che questo confronto politico non ha giovato ad entrambi, ma mentre per Biden il danno è stato relativo, per Trump si è trattato di una sconfitta dolorosa che ha contribuito a farlo calare nei sondaggi.


Un bipolarismo sull’orlo del collasso

Gli attuali candidati alla presidenza di quella che è ancora la prima superpotenza dello scacchiere globale lasciano decisamente a desiderare in quanto a capacità dialettiche e contenuti proposti. Dal confronto è emersa più di ogni altra cosa la triste retorica degli “urlatori”, ovvero di coloro i quali per affermare il proprio primato e le proprie capacità si cimentano nella demolizione dell’avversario attraverso insulti ed epiteti di ogni genere, dimenticando che il ruolo che eventualmente saranno chiamati a ricoprire richiede responsabilità e pacatezza, lungimiranza e competenza. Doti sconosciute ai due sfidanti. Queste gravi manchevolezze non potranno che compromettere oltremodo la situazione già precaria di un grande Stato in disfacimento, dove i diritti civili vengono calpestati e le politiche sociali volutamente ignorate o utilizzate con il contagocce per fini elettorali, spesso localistici. Una parte della popolazione degli U.S.A. non tollera le minoranze, sarebbe disposta a sradicarle come fossero erbacce infestanti. Ma ciò non è soltanto una questione razziale. Le fasce abbienti della popolazione hanno la stessa percezione dei poveri, degli emarginati che popolano le periferie dei grandi agglomerati urbani. Il modello capitalistico statunitense, padre fondatore del neoliberismo imperante nel mondo, sta collassando su sé stesso. Non per mancanza di ricchezze, non per la contrazione del dominio geopolitico. Sta crollando poiché mai prima d’ora il mito del “sogno americano” era stato ufficialmente sfatato fino a divenire evanescente.




Bibliografia



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