Come è cambiata la contrattazione collettiva nel tempo? Come è cambiato lo Statuto dei Lavoratori? Negli ultimi 50 anni il mercato del lavoro ha drasticamente modificato i suoi connotati ed è stato permeato da logiche che esprimono emblematicamente le complessità relative alla gestione della globalizzazione.
Dal garantismo rigido alla fase emergenziale
Oggi ricorre un anniversario importante per l’ordinamento italiano, sono passati esattamente 50 anni dal 20 maggio 1970, giorno in cui venne votata la legge n° 300/1970, ovvero lo Statuto dei Lavoratori. Il gran merito per la strutturazione normativa e l’implementazione va attribuito senz’altro a Gino Giugni, considerato unilateralmente il padre dello Statuto. Giugni venne incaricato dal Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, Giacomo Brodolini (scomparso prima della promulgazione), a presiedere una commissione alla quale era stato affidato il compito di compiere un disegno di legge ideato nei due anni precedenti in risposta alle conseguenze dell’autunno caldo. Lo Statuto ha rappresentato il culmine della c.d. “fase garantista”, o se preferite del “garantismo rigido”, nell’evoluzione storica della disciplina del diritto del lavoro, caratterizzata da forme di contrattazione collettiva “acquisitiva”, espressione di un più consolidato bilanciamento tra le istanze e gli interessi appartenenti alla fisiologica contrapposizione tra capitale e lavoro, ovvero tra datore e prestatore di lavoro. Ma poiché le condizioni del mercato del lavoro sono riflesso del contesto socio-economico al quale risultano assoggettate si può in pratica affermare, come fece Lorenzo Gaeta, che “ogni epoca ha avuto il suo diritto del lavoro”. Una interpretazione di valenza oggettiva in quanto riproduce fedelmente la peculiare contingenza intrinseca allo sviluppo storico della disciplina. Motivo per cui alla fase del garantismo fece seguito la c.d. “fase emergenziale” a cui corrisponde un’analoga convergenza del diritto del lavoro verso un modello emergenziale, caratterizzato dal fondamentale passaggio dalla contrattazione “acquisitiva” a quella “ablativa”. La crisi petrolifera del 1973 (v. OPEC) segnò profondamente l’andamento economico mondiale con gravi conseguenze sul mercato del lavoro, in particolare quello italiano, alle quali si affiancò nel corso del decennio un costante aumento del tasso di inflazione con conseguente svalutazione del potere d’acquisto della moneta. Una situazione assai complicata, quella degli anni di piombo, che ha segnato profondamente la nostra storia nazionale interessando molteplici aspetti della società italiana. Quel periodo storico è stato uno spartiacque per l’ordinamento in materia di diritto del lavoro e per il mercato in generale. Sono gli anni del crollo definitivo del modello tipico dello Stato-sociale che crolla sotto i colpi dell’inflazione e della crisi economica. Per sopravvivere all’incessante concorrenza le imprese medio-piccole fanno maggiormente fatica e pertanto, seguendo il comportamento della grande industria e dei nascenti colossi del terziario, anche le pmi chiedono sempre crescentemente flessibilità, sburocratizzazione e alleggerimento del cuneo fiscale, innescando nuove dinamiche nell’ambito della contrattazione collettiva la quale finisce con il dover difendere il possibile e accontentarsi del mantenimento dei risultati ottenuti nei decenni precedenti. Lo Statuto nasceva in una cornice profondamente diversa, seppur antecedente di pochi anni, ed aveva lo scopo di tutelare il prestatore di lavoro garantendo al rapporto di lavoro una struttura normativa in grado di conferirgli dignità e libertà sindacale nei luoghi di lavoro. Con la legge 300/1970 l’art. 39 Cost. entra nei luoghi di lavoro e a testimonianza di ciò si ricorda questa affermazione di Giuseppe di Vittorio sulla ratio dell’art. 39 della Costituzione:
“(…) ci si trova molto spesso dinanzi a datori di lavoro troppo egoisti e antisociali da non voler riconoscere nemmeno i contratti di lavoro che sono stipulati liberamente tra le organizzazioni dei datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori (...) in questo caso l’organizzazione dei lavoratori non ha che un mezzo per far valere il proprio diritto: l’agitazione, lo sciopero”
E ancora:
“(…) questa norma impone anche ai datori di lavoro egoisti di rispettare i contratti collettivi come fossero leggi sociali”
Alle organizzazioni sindacali dei lavoratori vengono conferiti gli strumenti per ottenere parità negoziale. Perno di questa razionalizzazione, volta a ristabilire l’equilibrio sostanziale tra datore e lavoratore e a tutelare la libertà sindacale garantendola all’interno dei luoghi di lavoro, sono gli artt. 14 (diritto di associazione e attività sindacale), 15 (atti discriminatori), 17 (il quale vieta il “sindacalismo di comodo”) e infine, più importante degli altri, l’art. 18 (reintegrazione nel posto di lavoro). Quest’ultimo è stato totalmente riformato ad opera della legge 92/2012 la quale ha modificato il previgente regime sanzionatorio unico – per l’appunto la reintegrazione – adottando un pluri-regime sanzionatorio composto da distinte procedure, modificate più recentemente dal D.lgs. 23/2015, attuativo della delega contenuta nella legge 183/2014 (Jobs Act). Tale decreto legislativo, contente la norma sul contratto indeterminato a tutele crescenti, ha previsto una più ampia applicazione della tutela risarcitoria, stabilita sulla base del criterio dell’anzianità lavorativa del prestatore di lavoro e pertanto sottratta alla discrezionalità del giudice. Questo modus operandi è tipico, si potrebbe dire consequenziale, della globalizzazione e delle sue ricadute in materia di mercato e produzione globalmente intesi. Oggi è possibile “esportare” la propria sede legale o fiscale, è possibile delocalizzare la produzione industriale altrove, dove maggiormente conviene, per motivi che possono essere legati tanto all’imposizione fiscale quanto al minor costo di manodopera. Questa estensione dei confini del mercato ha realizzato una rete di interscambio senza precedenti nella storia; contemporaneamente all’evoluzione delle possibilità di speculazione finanziaria sui titoli azionari, conseguenza della smaterializzazione del capitale, si è aggiunta l’inarrestabile centralità del World Wide Web. L’interdipendenza di questi fattori ha intessuto un nuovo paradigma economico nel quale anche la concorrenza va affrontata su scala globale. Semplicisticamente nel nuovo sistema si è registrata un’estensione enorme dei confini e delle modalità di svolgimento e attuazione della politica economica che ha comportato da un lato, la devoluzione di competenze (in un’ottica di Governance multilivello) sia top-down, ovvero dal livello centrale (statale) verso gli enti decentrati (sub-statali), sia bottom-up, dal centrale verso il livello sovranazionale, e dall’altro la permeazione delle logiche private di impresa nella gestione delle amministrazioni pubbliche (new public management) e, più in generale, dell’intero universo della gestione di risorse pubbliche.
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