Grande tensione nel casertano per un focolaio che per ora ha registrato quasi 50 positivi al Covid19. Il Presidente della Regione Campania ha chiesto e ottenuto l’intervento di un contingente dell’esercito. Istituita una zona rossa nell’area interessata.
Circa una settimana fa una donna di origine bulgara residente nei Palazzi Cirio di Mondragone (CE) si è recata all’ospedale per partorire. Come da prassi le sono state effettuate analisi e test per far emergere la potenziale presenza del virus Covid-19. La donna è risultata positiva assieme alla famiglia. Il nucleo risiedeva nei già citati edifici ai quali residenti (oltre 700 persone) è stata imposta la quarantena forzata. Oltre 40 di essi sono risultati positivi al virus destando non poca preoccupazione nella regione guidata dallo “sceriffo” Vincenzo De Luca, personaggio politico pragmatico che negli ultimi mesi si è impegnato molto al fine di costruire un’immagine politica di sé autoritaria e spesso irriverente. In seguito all’istituzione della zona rossa nell’area che include le cinque palazzine interessate alcuni inquilini hanno violato le limitazioni per protestare e richiedere maggiore assistenza ma soprattutto la possibilità di continuare la propria attività lavorativa. Una piccola parte di essi (secondo alcune fonti poco meno di 10 persone, ndr) anziché violare la quarantena obbligatoria per fini di protesta si sarebbero volutamente allontanati con lo scopo di far perdere le proprie tracce. Questi comportamenti hanno provocato la reazione dei cittadini del comune campano i quali hanno costituito una contro-protesta in cui non sono mancati insulti di natura razziale e lanci di sassi e altri oggetti. L’instabilità della situazione, il timore della diffusione del virus e il pericolo di una escalation di violenza hanno indotto il Presidente De Luca a contattare il Ministro dell’Interno Lamorgese al fine di richiedere l’intervento di un contingente dell’esercito per circoscrivere l’area interessata. Ciò che alcune parti dell’opinione pubblica campana contestano all’ex sindaco di Salerno riguarda il tempo trascorso tra l’ospedalizzazione della paziente che ha permesso di comprendere l’esistenza del focolaio e l’istituzione della zona rossa, scattata lunedì. Le critiche in particolare consistono nella scarsa lungimiranza adottata dal vertice della regione, reo di non aver immaginato – conoscendo il particolare contesto del territorio interessato – che il fatto potesse degenerare in un conflitto tra i cittadini italiani del comune di Mondragone e la minoranza bulgara residente nei Palazzi Cirio, ampliando oltre i confini della sicurezza sanitaria la natura dello scontro. Queste le dichiarazioni di De Luca:
“Su Mondragone, come sempre, abbiamo reagito con immediatezza. Non appena avuta la notizia, abbiamo messo in quarantena le palazzine. Sono state mobilitate le forze dell’ordine per avere controlli rigorosi. Il lavoro è impegnativo, la nostra attenzione massima”.
“Appena abbiamo avuto notizie di un contagio di una donna di nazionalità bulgara abbiamo mobilitato le forze dell’ordine. Serve controllo rigoroso sulle persone in quarantena per isolare i contagi. Si tratta di positività arrivate dalla Bulgaria ed altre parti del mondo. Come sempre noi siamo impegnati a garantire la serenità delle nostre famiglie."
Toni e termini tipicamente conservatori, che in passato siamo stati abituati ad udire da esponenti di partiti appartenenti a compagini governative che hanno occupato la parte del parlamento opposta all’attuale partito politico di cui De Luca fa parte. Ma oramai non stupisce che il Presidente della regione Campania compia queste specifiche scelte oratorie, avendoci abituato ad affermazioni ben più radicali.
I reali motivi della protesta
Il motivo alla base dell’intervento dell’esercito riguarderebbe – come sottolineato in precedenza – le possibili conseguenze (non solo sanitarie) delle proteste che hanno coinvolto i residenti bulgari delle palazzine in quarantena e parte della cittadinanza del comune campano. La minoranza “straniera” (se così può esser definito un gruppo di persone che in molti casi sono da anni residenti in altra nazione) non rispettando l’obbligo di fermo imposto per motivi sanitari, è scesa nelle strade animando la protesta contro le misure restrittive da cui la maggioranza dei componenti risulterebbero fortemente penalizzati in quanto, essendo buona parte di questi ultimi lavoratori e braccianti del settore agricolo occupati in nero, non potrebbero beneficiare di alcun tipo di sostegno al reddito e ciò naturalmente comporterebbe gravi problemi di sostentamento dei rispettivi nuclei familiari. Dunque se i metodi della protesta, in violazione delle doverose accortezze sanitarie imposte al fine di evitare che il virus si diffonda, sono senz’altro poco saggi oltre che penalmente sanzionabili, va sottolineato che il motivo alla base delle agitazioni della minoranza bulgara non è affatto privo di coerenza. I membri di questa comunità risultano parte lesa di un processo alle intenzioni antico, che li vede discriminati anche in quanto appartenenti ad un’altra nazionalità, cosa che li rende circoscrivibili in un unicum da sradicare e contestare deliberatamente, quasi come se si parlasse di microcosmi opposti e inconciliabili, o meglio, conciliabili soltanto nel momento in cui gli appartenenti ad uno di essi risultano assoggettati e subordinati alla controparte. Cresce infatti in modo considerevole il coro – assolutamente fuori luogo - di chi li definisce “zingari” non degni di possedere diritti al pari degli italiani. Eppure se questi lavoratori, proprio come accade nelle campagne di Castelvolturno, Cirignola, Foggia, Castrovillari, Latina, smettessero di lavorare la terra, di raccogliere frutta e verdura lavorando anche 14 ore al giorno, tutti i frutti della terra che rivendichiamo come esclusivamente “nostra” andrebbero persi. Pochissimi italiani – posso dire di conoscerne alcuni, di certo non tanti – deciderebbero di alzarsi alle 5 del mattino per recarsi nei campi, nel fango, con il furgoncino del caporale di turno a prestare la propria forza lavoro, sotto il sole intransigente che picchia forte con i suoi 35° all’ombra, per un salario orario al di sotto dei 2 euro corrisposto in nero. L’immigrato che arriva in Italia è costretto a questi lavori, costretto a lavorare senza essere tutelato contro infortunio e malattie professionali, senza il rispetto del vincolo di orario, senza il rispetto delle maggiorazioni retributive per il lavoro straordinario, senza che il datore di lavoro sia obbligato a versare contributi previdenziali, senza rientrare nella tutela degli eventi protetti elencati nell’articolo 38 della Costituzione. Le famiglie dei braccianti deceduti nella terra, sul proprio luogo di lavoro, non riceveranno alcun sostegno economico a causa della morte del lavoratore capofamiglia (cosa che invece accade per chi possiede un regolare contratto o, perlomeno, un contratto).
Capire prima di giudicare
Questo articolo non intende giustificare la violazione delle restrizioni derivanti dal pericolo di estensione del contagio, si pone il semplice ma arduo obiettivo di dare luce ad entrambe le facce della stessa medaglia, poiché una di esse è posta in secondo piano rispetto all'altra. L'articolo ha lo scopo di sensibilizzare nella speranza che risulti prioritario cercare di capire prima di giudicare. Prima di alzare l’indice contro chiunque riteniamo diverso ricordiamoci che stiamo parlando di donne e uomini e bambini, come siamo anche noi, e a cui spettano i nostri stessi diritti. E nel caso fossimo suggestionati dall’ipotesi che in realtà non è così ricordiamoci che un tempo le “bestie” erano i nostri trisavoli e bis-nonni che andavano a lavorare nelle miniere in Belgio per pochi soldi rischiando la vita ogni giorno, che andavano a lavorare in Svizzera nelle stalle senza il permesso di sedersi a tavola con il “padrone”, che sono partiti per gli Stati Uniti con addosso soltanto i propri vestiti e un’espressione già segnata dal duro lavoro, nonostante avessero poco più di vent’anni.
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