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Il voto carismatico nella "società del rischio". Considerazioni sugli ultimi sondaggi

  • Luigi Sorrentino
  • 26 apr 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 21 mar 2021

La centralità del ruolo politico della leadeship è una tendenza in costante crescita nell'epoca contemporanea. Come si collega ciò alla maggiore percezione del rischio? E ancora, questa nuova percezione, dovuta principalmente alla diffusione dei mass-media e di internet, può essere utilizzata strumentalmente dalla politica?


La convergenza verso il leader

La convergenza verso il leader è un fenomeno sempre più incidente sulla fiducia nel partito. Non è sempre stato così. Il lento declino del partito, passato dall’essere il perno dello scacchiere politico a mero strumento di propaganda elettorale di massa, ha sconvolto l’impianto della rappresentanza politica che sempre più accentuatamente risulta determinata dal carisma del leader di partito. Questo comporta uno svuotamento del pluralismo e della stessa capacità dei partiti di sostenere una pluralità di idee, di proporre un progetto che, condivisibile o meno, sia in grado di rappresentare una visione coerente della società nel suo complesso. Nei sistemi democratici la competizione è aperta a identità politiche che possono essere rappresentate da soggetti singoli, che si dotano di una struttura partitica, e da organizzazioni collettive, che si dotano di un sistema di ricambio al vertice e periodica alternanza soggetta alla consultazione interna (in alcuni casi si concede a iscritti e militanti la partecipazione diretta al processo di elezione di un candidato di partito per un’investitura pubblica, come nel caso delle primarie). Il consenso elettorale può dunque essere destinato sia all’attore collettivo (partito) che a quello individuale (leadership). Parafrasando Schopenhauer, e immaginando gli ultimi 75 anni della storia italiana come un istante di tempo equivalente all’oscillazione di un pendolo, potremmo dire che la fiducia in chi votare, nella prima Repubblica corrispondeva ad un’oscillazione verso la fiducia nel sistema di partito, interprete di specifiche istanze e visioni della società, mentre nella seconda Repubblica il pendolo si sposta verso la fiducia nel leader politico, è il caso del c.d. “voto carismatico”.

Il mutamento della rappresentanza: dalla prima Repubblica alla “società del rischio”

La seconda Repubblica ha conosciuto fin dall’inizio del suo percorso un mutamento interno alle dinamiche di rappresentanza politica. Il disfacimento dei grandi partiti di massa è stato il trampolino di lancio dell’individualismo e della figura dell’imprenditore politico. Non si vuol negare certo che tale fenomeno esistesse già in passato, ma durante la prima Repubblica l’intero macro-meccanismo della rappresentanza era, in Italia e nel mondo, soggetto all’influenza delle conseguenze del bipolarismo mondiale e ciò si è riflesso nell’arena politica italiana che per decenni, nonostante l’esistenza di una pluralità di animi politici, è stata sostanzialmente interessata da una contrapposizione tripolare, espressione dei sentimenti e delle principali convinzioni ideologiche del Paese: il cristianesimo democratico, interconnesso al centrismo della Democrazia Cristiana, il socialismo moderato, che giungerà ai nostri giorni come socialdemocrazia riformista, il marxismo e il socialismo rivoluzionario, e poi l’eurocomunismo, pilastri della coscienza partitica del Pci rispettivamente al tempo della segreteria di Togliatti e poi di Longo e Berlinguer. Se nella prima fase della nostra storia repubblicana il partito era il diretto interprete delle istanze rivendicate del proprio elettorato, da ormai trent’anni l’elettorato ha iniziato ad esprimere la propria preferenza in modo differente, spendendo il proprio consenso in favore di strutture di rappresentanza fondate su principi e assetti organizzativi diversi da quelli dei grandi partiti di massa. Il fenomeno della moltiplicazione degli imprenditori politici, relativo all’idea della rappresentanza come strumento per perseguire interessi individuali, è sempre esistito (Craxi docet), ma di certo sbaglieremmo se affermassimo che questo modo di interpretare un’investitura pubblica non abbia subito enormi modifiche negli ultimi 28 anni. Questo trentennio è stato caratterizzato da una progressiva spettacolarizzazione e personalizzazione della politica e da un estremo ricorso alla televisione e ai new media che non ha precedenti storici. Ciò ha prodotto uno stato di campagna elettorale semi-permanente in cui sviluppare il famoso “progetto politico coerente” risulta difficile; in alcuni casi perché anche i partiti eredi di tradizioni politiche storicamente affermate, come il Pd, sono tentati dall’abbandonarsi alle narrazioni improvvisate, credendo che paghino meglio del percorso coerente, in altri casi poiché dinanzi alle strabilianti possibilità di visibilità, condivisione e connessione offerte nell’era del web il problema di generare una narrazione che rispetti dei principi ideologici non si pone assolutamente (è questo il caso di M5s, Lega, FdI). La configurazione tripolare del passato ha lasciato il posto ad una pluralità confusa e sfumata, in cui sono presenti anche partiti dichiaratamente post-ideologici. Le differenze con i primi cinquant’anni della Repubblica sono abissali in merito alle dinamiche di comunicazione e propaganda politica le quali, insieme alla fine del bipolarismo, al radicamento del neo-liberismo e alla conseguente prevalenza del mercato sulla sfera politica (che continua a fare di tutto per estremizzare l’espansione e la liberalizzazione dell’economia), hanno determinato una radicalizzazione dell’idea di società del rischio di Beck (Ulrich Beck, “La società del rischio. Verso una seconda modernità”, Carrocci editore), in cui la percezione individuale e collettiva del rischio è divenuta esponenziale:


Il rischio è al centro della vita di ognuno di noi e al centro del dibattito pubblico, perché ormai lo percepiamo ovunque. Ed è ovunque

Ma Beck specifica anche che ciò non significa che il mondo in cui viviamo sia più pericoloso, la differenza consiste nel grado di consapevolezza del rischio che ci contraddistingue rispetto al passato. Stando all’evoluzione dei fatti le affermazione che Beck fece nel 1986 appaiono sempre più verificate. Ma questa maggiore percezione del rischio, dovuta principalmente alla diffusione dei mass-media e di internet, può essere utilizzata strumentalmente dalla politica?

I soggetti politici che più di altri hanno saputo calamitare la fiducia degli elettori trasformando il rischio in minaccia e attuando una “politica dell’allarmismo”, sono stati premiati dai votanti, che hanno concesso loro il Governo del Paese in più occasioni. È il caso di dire che l’opinione pubblica è stata visibilmente stordita dalla propaganda urlata sui social network, nei talk show televisivi, e in ogni ambiente connesso ai circuiti della grande spettacolarizzazione politica che dai primi anni novanta ha caratterizzato le sorti politiche dell’Italia (e non solo). In questi trent’anni di seconda Repubblica questi soggetti sono stati, quasi sempre, singoli leader politici che hanno riorganizzato il partito su misura per questo tipo di speculazione politica e informativa. Seguendo le orme della leadership craxiana, Silvio Berlusconi ha innovato profondamente il concetto di personalizzazione politica, imprimendole le caratteristiche del marketing politico, fondato sulla sponsorizzazione del leader. Negli anni più recenti, successivi all’alternanza tra berlusconismo e sinistra moderata europeista e all’ingresso in scena del movimento “anti-establishment” di Grillo e Casaleggio, a costruire la propria credibilità politica sulla figura di un leader carismatico sono stati, da un lato, Fratelli d’Italia, costruzione partitica personalistica che ruota attorno a Giorgia Meloni, dall’altro la Lega per Salvini premier che, come si evince dal nome e dal rinnovato simbolo, è ormai il lontano ricordo del carroccio di Bossi e Alberto da Giussano. Sono entrambi partiti che hanno goduto di una rapida e consistente ascesa nel corso degli ultimi due anni, ma da quando la pandemia da CoVid-19 si è diffusa nel mondo la credibilità di FdI e Lega e quella dei rispettivi leader di partito ha subito un forte calo.



Gradimento leader

- Conte 66%

- Speranza 37%

- Meloni 35%

- Franceschini 34%

- Salvini 31%

- Zingaretti 30%

- Di Maio 29%


Gradimento partiti

- Lega 25,4

- Pd 21,3%

- M5s 18,6%

- FdI 14,1%

- Forza Italia 7,5%

- Italia Viva 3,1%


Questi sondaggi, se presi alla lettera, rappresenterebbero una grande inversione di marcia operata da molti elettori della Lega, che in un mese ha perso il 5,7%. Dal 34,3% delle elezioni europee il tracollo è evidente. In ascesa, seppur sempre molto contenuta, il Partito Democratico, che pare stia beneficiando della apparente stabilità del Governo, così come il M5s che torna al sopra il 18%. Ancora in calo Italia Viva di Matteo Renzi che non va oltre il 3,1% ed è tallonato da altre formazioni minori come La Sinistra, Europa Verde, Più Europa di Emma Bonino e Azione di Carlo Calenda. Anche ai nostri giorni, come vedete, esiste una pluralità ampia di micro-partiti, analogamente alla prima Repubblica; a differenziare il tutto è la mancanza di corrispondenza ideologica che si evince dall’analisi del nostro Parlamento. Pare che i democratici e i pentastellati si stiano illudendo che siano bastati l’ottenimento del “Recovery Fund” e i passi falsi della Destra a riportarli in auge, ma non è affatto così. Non sono pervenute dichiarazioni convincenti e precise circa l’elaborazione condivisa di futuro modello di sviluppo, né sono stati contemplati i temi della sostenibilità ambientale e della riorganizzazione produttiva secondo nuovi e specifici criteri sulle emissioni, non si è parlato di riordino del mercato né di ricerca e istruzione. Si è parlato di sanità, ma si capisce, il momento che stiamo vivendo lo impone. Le preoccupazioni di chi scrive, e credo anche di altri, riguardano la capacità “negativa” dei sondaggi di influenzare le intenzioni di voto privilegiando l’identificazione con la controparte politica in vantaggio nell’arena del dibattito politico. La conseguenza è che la maggioranza, sempre più solida secondo i sondaggi di diversi istituti, si “culli sugli allori” finendo con il ridare voce e argomentazioni ai già gitati imprenditori politici che trasformano il rischio in pericolo. Dunque la staticità della maggioranza di governo rischia di compromettere la possibilità che quando avremo superato questa crisi ci ritroveremo punto e a capo sul fronte politico, economico e sociale; se questo accadrà allora non solo la drammatica esperienza vissuta non ci avrà insegnato nulla, ma al contempo si assisterà alla rivalsa della retorica della chiusura sovranista, proprio nel momento in cui si dovrebbe fare finalmente un passo avanti.

“Il carattere di perenne straordinarietà accostato alla società contemporanea, una società del rischio in cui catastrofi e crisi economiche sono sempre più ricorrenti, sta determinando la normalizzazione di quegli stati di insicurezza radicale e di ansia generalizzata in risposta ai quali il carismatico è visto come salvatore. Di conseguenza, determinando una perenne richiesta di leader carismatici che la costruzione del carisma via sondaggio non fa altro che assecondare.”

(Citazione tratta da: Calise, Lowi, Musella,"Concetti chiave. Capire la scienza politica", Il Mulino, 2016)


Il rischio cui si fa riferimento è la possibile cristallizzazione delle attuali dinamiche di voto "carismatico" basato sulla leadership politica, capaci in un futuro non troppo lontano, di soffocare il pluralismo democratico e compromettere irreversibilmente i progetti di reinvenzione della società all’insegna del comunitarismo e dell’abolizione dei muri, simbolici e fisici, che dividono il mondo.





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