In un precedente articolo abbiamo pubblicato una lettera inviataci da tre maestre di una scuola primaria nella quale vengono enunciate gravi disuguaglianze nell’accesso alle funzionalità della didattica a distanza, definita un “blando palliativo” che ha consegnato nozioni dimenticando le relazioni e i rapporti umani. Oggi, 29 settembre, in molte regioni le scuole sono ancora chiuse per i motivi più diversi: dalla sanificazione successiva ai recenti appuntamenti elettorali all’indisponibilità di materiale didattico essenziale.
L'istruzione dal fascismo alla Repubblica
L’istruzione è il pilastro di ogni società che sa guardare consapevolmente al proprio futuro. Un legislatore lungimirante non taglierebbe fondi alla scuola, all’università e alla ricerca perché conosce il valore indispensabile di queste istituzioni e i potenziali benefici che derivano da una loro sapiente e accessibile organizzazione. I padri della Costituente lo sapevano bene, non avevano dubbi in merito: l’istruzione è una priorità, e ancor più prioritario è il carattere universalistico di questa istituzione la quale deve essere accessibile a tutti, senza alcuna forma di distinzione. La nostra Costituzione, la quale sancisce questi fondamenti morali oltre che giuridici, nasce dalla Resistenza che a sua volta nasce in contrapposizione al fascismo. Durante il ventennio Mussolini identificò l’educazione dei giovani come un perno della costruzione del regime, un elemento imprescindibile per garantire la sua tenuta nel tempo. Si evince chiaramente da un discorso che il leader fascista tenne in Piazza San Sepolcro il 23 marzo del 1923 (stesso anno della riforma scolastica di Giovanni Gentile):
“Il governo esige che la scuola si ispiri alle identità del fascismo, esige che la scuola sia non dico ostile, ma nemmeno estranea al fascismo, agnostica di fronte al fascismo, esige che la scuola in tutti i suoi gradi e in tutti i suoi insegnamenti educhi la gioventù italiana a comprendere il fascismo, a rinnovarsi nel fascismo e a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione fascista.”
Leggendo queste parole si coglie subito l’origine del carattere inclusivo della nostra Carta Costituzionale. Vi era all’epoca il timore di poter tornare ad un ordine preesistente, contrassegnato da profonde disuguaglianze e dal tentativo di fascistizzazione delle istituzioni scolastiche.
In un discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale, tenutosi a Roma l’11 febbraio 1950, Piero Calamandrei fornì una spiegazione limpida dei nuovi pericoli che intravedeva nell’orizzonte scolastico e accademico:
“Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora il partito dominante segue un'altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. [...] Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata”
(Credits: Ansa / Matteo Bazzi)
Il finanziamento agli istituti privati e i contenziosi amministrativi
Queste parole profetiche riportano all’attenzione un pericolosa abitudine: il finanziamento pubblico degli istituti scolastici privati e la parallela riduzione dei fondi destinati alle scuole e alle università pubbliche. Si tratta di un problema - non semplicemente di una tendenza moderna (come qualcuno banalmente la definisce) - che riguarda anche il settore della Sanità. Ma dove si origina temporalmente e concettualmente questa attitudine, in apparenza irreversibile, che comporta benefici agli istituti privati?
La risposta non è semplice, né tantomeno univoca. Implementare politiche destinate a sfavorire le istituzioni pubbliche è anzitutto un chiaro segnale di fiducia nel mercato; con molta probabilità i promotori di queste politiche pubbliche condividono una visione neoliberista della società, fondata sull’assegnazione di risorse e competenze al settore privato in quanto esso è – teoricamente – più capace di generare beneficio diffuso. Ma come sottolineava Calamandrei operare simili scelte è anche spia di un malcelato tentativo di egemonizzare culturalmente la società offrendo un brillante modello privato (riflesso dell’élite dominante) da contrapporre al fragile e obsoleto modello pubblico. Quanto all’ambito temporale, Calamandrei avvertiva il pericolo già nel 1950 a riprova del fatto che non stiamo parlando di un fenomeno sorto di recente. Tuttavia nei successivi decenni l’appetibilità degli istituti privati è cresciuta considerevolmente contribuendo a radicare questo fenomeno soprattutto negli anni ’90, decennio chiave per il passaggio ad un nuovo assetto delle potestà legislative statali e regionali. Il nuovo art. 117 della Costituzione è stato spesso oggetto di critiche da parte di celebri costituzionalisti (tra cui si ricorda Sabino Cassese) in quanto la nuova ripartizione delle competenze è troppo spesso suscettibile di creare confusione e sovrapposizioni le quali non fanno altro che complicare il lavoro della magistratura. In tal caso indicare qualche cifra non nuoce: tra il 2001 e il 2019 la Corte Costituzionale ha emanato 2.152 sentenze (delle quali 1.131 di illegittimità) riguardanti contenziosi amministrativi tra Stato e regioni. I ricorsi presentati, sia dallo Stato che dalle regioni, sono stati oltre 1.800. Spesso al centro delle dispute giuridiche vi è stata la Scuola, altrettanto spesso la Sanità. Ciò evidenzia che la giungla burocratica e i continui rimbalzi decisionali di certo non favoriscono il rispetto dei princìpi sanciti dalla Costituzione. In alcuni articoli precedenti è stato sottolineato quanto sia risultata inefficiente l’identificazione dell’istruzione e della tutela della salute come materie di legislazione concorrente.
La manifestazione del 26 settembre in Piazza del Popolo
Questa ripartizione di competenze non è l’unico problema che affligge i due ambiti citati ma di certo contribuisce ad alimentare le disuguaglianze tra regioni dotate di infrastrutture maggiormente adeguate ed altre prive di tali strutture. È quanto sta accadendo oggi con la riapertura degli istituti scolastici. Si registrano infatti notevoli differenze tra le regioni. Sabato 26 settembre alla manifestazione indetta dal Comitato Priorità alla Scuola, nato dalla sinergia di studenti, genitori e insegnanti durante il lockdown, le principali confederazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, sono scese in Piazza del Popolo a Roma assieme Cobas, Snals, Gilda ed altre 80 organizzazioni. Nonostante la pioggia battente il numero dei partecipanti è stato elevato. Sotto il palco viene innalzato uno striscione che recita: “La Priorità siamo Noi”; ad esso ne fa eco un altro che riporta una celebre frase di Gramsci: “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”. La principale richiesta dei manifestanti è semplice e diretta: vogliono che il diritto allo studio sia effettivamente garantito a tutti, dagli asili nido all’università. Ma non solo, al centro delle rivendicazioni c’è anche, come sempre, la critica feroce al precariato:
“La formazione non si compra ma si acquisisce; il precario non può continuare a vivere nei tribunali per esercitare il proprio lavoro. Lasciare un precario a vita è un modo vigliacco per agire. L'anno scolastico inizia con 200mila precari, quindi 200mila famiglie precarie. La scuola è iniziata senza docenti a causa del ministero che ha messo in piedi graduatorie zeppe di errori. Il ministero non ha voluto ascoltare né cambiare rotta."
Queste le parole di Anita Pelagi appartenente al Coordinamento nazionale precari della scuola. Il personale docente promesso dal Ministero per fronteggiare il nuovo anno scolastico è inferiore alle aspettative e sussiste inoltre una grande incognita relativa agli insegnanti di sostegno, figure professionali indispensabili al fine di garantire a tutti il diritto allo studio. Il Comitato ribadisce che anche il trasporto pubblico non è stato potenziato e che la riduzione della capienza all’80% non garantisce il distanziamento fisico tra gli studenti/passeggeri. Altra significativa incognita riguarda la preoccupante carenza di ambienti idonei alle attività: mancano gli spazi e ciò potrebbe comportare l’utilizzo esclusivo della didattica digitale integrata, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Per risolvere i tantissimi problemi che immobilizzano la scuola italiana la piazza reclama investimenti stabili nell'Istruzione e una fetta significativa del Recovery Fund.
Dinanzi a questa emergenza si palesa la siderale distanza che separa la classe politica dalla realtà delle famiglie, dei lavoratori precari e soprattutto degli studenti, grandi e piccoli. Spingere un bambino delle elementari all’utilizzo continuativo di strumenti tecnologici come computer e tablet non consentirà di sopperire alle mancanze derivanti dall’assenza del rapporto umano con i compagni di classe. La scuola è formativa prima di ogni cosa in quanto ci pone in contatto con gli altri, consente di riconoscere e comprendere le sensazioni altrui e permette di far fiorire la propria identità. Tutto ciò è insostituibile.
Oggi questa frase di Margherita Hack risuona, purtroppo, ancora più attuale:
“La scarsa considerazione che la nostra classe politica e in particolare quella più recente riserva all’istruzione, all’università e alla ricerca è la conseguenza del basso livello culturale della gran maggioranza degli eletti in Parlamento.”
Bibliografia
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