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Gian Marco Renzetti

La guerra nel 2020

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan, oltre a non esaurirsi all'interno di questi due stati, incorpora rancori storici e dissidi etnici ancora non risolti, evidenzia la povertà dell'area e gli interessi dei paesi OSCE (organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), ma più di tutto è testimone del costante spostamento degli equilibri politici verso Oriente.



Il conflitto

In breve, il 27 settembre si riaccendono i conflitti nella regione del Nagorno-Karabakh, enclave armena all'interno del territorio Azero che dopo il crollo dell'URSS si è proclamata indipendente. Da quel giorno gli scontri si sono amplificati notevolmente: entrambi gli stati possono ricorrere a droni telecomandati e artiglieria all'avanguardia per le operazioni militari, strumenti forniti dai rispettivi alleati (il primo ministro Canadese Justin Trudeau il 5 ottobre ha bloccato le esportazioni di materiale tecnologico per i droni alla Turchia, alleata del governo azero). Di fatto un protettorato armeno, la regione è stata teatro di scontri dal 1992, attirando le attenzioni da parte di Russia, Francia e USA: stati membri del "gruppo di Minsk" (costituito dall'OSCE) che sono più volte intervenuti in via diplomatica per allentare le tensioni.

Le alleanze

Finora i report delle agenzie stampa parlano di 223 militari e 19 civili uccisi negli scontri a fuoco, principalmente dai bombardamenti riversati nelle aree abitate della zona. Il conflitto sta assumendo i contorni cruenti del passato, ma adesso gli interessi degli altri paesi nella zona rischiano di provocare un'escalation. A grandi linee (e con la necessaria premessa che queste "alleanze" hanno radici ben più profonde che la pura e semplice motivazione economica), la situazione è più o meno questa: La Russia ha una base militare in Armenia vicino al confine con la Turchia e fornisce supporto al governo di Erevan in caso di attacco; Putin ha interessi nell'area caucasica e ritiene che un possibile sostegno all'Armenia potrebbe garantirgli un ipoteca sul controllo dell'area: è infatti innegabile la superiorità militare ed energetica (che esporta gas e petrolio) dell'Azerbaijan rispetto all'Armenia e il sostegno di Putin potrebbe fare la differenza aiutando quest'ultima. La Turchia si trova in una posizione relativamente scomoda poiché, essendo parte della NATO, sostenendo Baku con l'invio di apparecchi militari potrebbe collidere con gli interessi dell'Alleanza Atlantica: Jens Stoltenberg, capo della NATO, in visita alla Turchia ha espressamente chiesto al ministro degli Esteri turco di lavorare per un cessate il fuoco, soluzione che il presidente azero Ilham Aliyev non sembra aver considerato e, vista l'affinità etnica tra i due paesi, nemmeno la Turchia.


Interessati al conflitto sono anche il governo di Israele, che vende la propria tecnologia militare agli azeri e al quale farebbe comodo un possibile alleato contro l'Iran (con cui confina l'Azerbaijan) e, di conseguenza, lo stesso Iran.


Possibili scenari

Con questo gioco di alleanze è difficile immaginare un ruolo europeo (o internazionale) capace di mitigare le conseguenze o di risolvere la diatriba in Nogorno-Karabakh. Anche perché il compito del gruppo di Minsk, impegnato a risolvere la controversia dal 1992, è ampiamente fallito: a guidare il gruppo sono Francia, USA e Russia; a ben vedere solo uno di questi paesi ha la capacità politica di cambiare le carte in tavola nel conflitto e non è un paese occidentale. L'esito del conflitto, che durerà ancora a lungo, potrà quindi essere largamente condizionato da altri attori "estranei" alla disputa. Le Nazioni Unite hanno più volte sollecitato per un immediato ceasefire, ma la Turchia e l'Azerbaijan non hanno intenzione di concederlo. In questo scenario la sfida è nelle mani dell'OSCE e dell'ONU per quanto riguarda le organizzazioni occidentali (visto che Trump non ha manifestato volontà di intervento nella regione), di Putin dall'altra parte. #giornale #esteri #politica #internazionale #Turchia #armenia #russia #azerbaijan



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