Esattamente 15 anni fa Angela Merkel diventava la prima donna a ricoprire la carica di Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca. La leader ha i numeri dalla sua parte. In questo quindicennio il Pil della Germania è passato da 2.846 a 3.948 miliardi di dollari. Anche dopo il 2008 e nel periodo della successiva recessione economica il prodotto interno lordo tedesco non è mai sceso sotto il valore del 2005 (cosa invece accaduta all’Italia). Una prova, certo, della solidità dell’economia tedesca che però non prescinde totalmente dall’operato del cancelliere.
Angela Merkel ha saputo calamitare attorno al proprio partito le forze moderate e non ha disdegnato alleanze con socialdemocratici e verdi. Un segno della capacità di mediazione che ha reso salde le legislature degli ultimi tre lustri con non pochi benefici per l’economia tedesca poiché si sa, la stabilità politica è strettamente connessa agli equilibri (o squilibri) di mercato. Del resto l’andamento dei titoli di Stato dipende in buona parte dalla credibilità verso gli investitori.
L’affermazione politica e i paragoni importanti
In Germania si era scettici sulla sua affermazione alla guida del CDU, avvenuta nel 2000, soprattutto in quanto evangelica mentre il partito non ha mai abbandonato la propria tradizione cattolica e conservatrice. Non a caso a sfidare Gerhard Schröder nelle elezioni del 2002 fu Edmund Stoiber, poi risultato sconfitto. Il 30 maggio 2005 viene nominata da CDU e CSU come sfidante dell’allora cancelliere del SPD e sappiamo com’è andata a finire: il 22 novembre dello stesso anno Angela Merkel diviene la prima donna a ricoprire l’incarico di Cancelliere. Il trionfo è stato in verità personale, poiché nessuna delle due coalizioni ottenne voti sufficienti per formare una maggioranza al Bundestag. Lo stallo si risolse con un accordo che prevedeva l’attribuzione di 8 dei 16 ministeri alla coalizione SPD-Verdi e il ruolo di cancelliere affidato ad Angela Merkel.
Quel 35,3% ottenuto da CDU-CSU va in larga parte attribuito alla manifesta volontà della leader di applicare un’ampia “deregulation”, ovvero di allentare le maglie dello Stato nei confronti del mercato in modo che quest’ultimo potesse essere più libero di innescare circoli economici virtuosi. Perno della sua propaganda è stata anche la scelta di puntare sulla necessaria revisione delle regole per i licenziamenti, rendendoli più agevoli. Una scelta politica motivata dalla convinzione che le regole stringenti del diritto del lavoro tedesco minassero la capacità di sopravvivenza delle imprese nei momenti di recessione economica. Insomma, la leader del CDU non ha mai taciuto le proprie posizioni liberiste e tendenzialmente conservatrici (si ricorda come nel 2017 votò contro la legge sul matrimonio egualitario).
Per queste ed altre ragioni più recenti qualcuno l’ha definita “the new Iron Lady”.
Ma è un’attribuzione maldestra nonostante alcune somiglianze politiche e la comune formazione scientifica. Margaret Thatcher e Angela Merkel hanno dimostrato di essere abbastanza diverse nel modo di intendere ed interpretare l’azione politica e ciò è chiaramente dovuto anche alle varianti di contesto. Salvo infatti la fiducia nei meccanismi di deregolamentazione (molto più accentuata per Thatcher) l’operato delle due leader diverge su molti fronti. Nell’Europa di oggi l’opinione del cancelliere conta moltissimo e incute timore, soprattutto dopo l’imposizione della Troika e la fermezza sull’Austerity. Ma stiamo parlando di politica estera, seppur interna all’Unione. Margaret Thatcher era ferrea anche sul versante interno mentre Merkel tenta sempre la mediazione, secondo un meccanismo che si potrebbe definire di “tacita accondiscendenza”, in quanto la costruzione di maggioranze politiche non è mai stata anticipata o seguita da clamore e accesi dibattiti. O forse si può semplicemente definire pragmatismo politico: arrivare al nocciolo delle questioni manifestando le proprie convinzioni (e la propria forza) nel modo più chiaro possibile, senza fronzoli di alcun genere. Tale capacità è riscontrabile anche nell’atteggiamento della Germania nell’attuale, delicatissima, fase storica. Chi si sarebbe aspettato che Angela Merkel, da paladina del Fiscal Compact, divenisse sostenitrice del Recovery Fund? Senza l’attivismo della leader tedesca non sarebbe stato possibile superare gli ostacoli al piano Next Generation Eu.
È nient’altro che l’ennesima conferma del pragmatismo sopracitato, misto ad una buona dose di lungimiranza europeista. La Germania non si salva senza Europa, l’ha capito anche la “tiranna” della politica estera europea (magari sollecitata da Ursula von der Leyen che nel suo curriculum vanta anche l’essere stata, in ordine cronologico, Ministro della famiglia, del Lavoro e degli Affari Sociali ed infine Ministro della Difesa della Germania dal 2013 al 2019).
Il futuro della Merkel e le nuove sfide europee
Nonostante abbia asserito che nel 2021 non si presenterà per un quinto mandato da cancelliere né per un seggio in Parlamento o incarichi a Bruxelles, il dubbio resta in molti cittadini e osservatori. Anche se alcuni macro-fenomeni che stanno impattando sempre più incisivamente sul destino dell’Unione Europea non sembrano adatti all’interpretazione che ne ha storicamente dato Angela Merkel. Tra questi il primo pensiero va al fenomeno migratorio che la leader tedesca ha spesso considerato un mero problema e non, per l’appunto, un fenomeno globale che va analizzato e compreso, trattato con strumenti giuridici adeguati. Un comportamento condiviso in larga parte dall’opinione europea che non può restare un punto fermo. La nuova generazione europea dovrà convivere con i flussi migratori e dimostrarsi capace di predisporre un sistema di integrazione complesso e strutturato. Tutto ciò deve iniziare oggi, alla vigilia dell’anno in cui forse riusciremo a superare la pandemia da Covid19 e potremo assistere alla ripresa economica.
Alla luce di queste considerazioni sorge spontaneo chiedersi se le posizioni timidamente favorevoli alla riforma del Trattato di Dublino si trasformeranno in convinzioni profonde radicate nella coscienza dei leader europei tra i quali, almeno per ora, Angela Merkel resta la più autorevole.
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