Da qualche giorno i prodotti H&M non sono ben accetti in Cina. La nota catena svedese di abbigliamento, infatti, diversi mesi fa avrebbe commesso un passo falso: ha criticato la repressione sistematica che la Repubblica Popolare Cinese attua sul popolo degli uiguri.
Tramite un comunicato, l’azienda si è detta “preoccupata dalle accuse di lavoro forzato e di discriminazione di minoranze etnico-religiose nella provincia autonoma dello Xinjiang uiguro” e ha dichiarato che, se avesse scoperto che tali metodi fossero stati utilizzati nella creazione dei loro capi, avrebbe immediatamente preso provvedimenti mettendo fine al rapporto d’affari.
Gli uiguri sono una minoranza turcofona di religione musulmana presente, appunto, soprattutto nella regione dello Xinjiang. Proprio in questa regione, nel nord-ovest della Cina, si trovano le più ampie piantagioni di cotone cinesi. Il popolo degli uiguri, nonostante sia stato ufficialmente riconosciuto dal governo, si è ritrovato ad essere vittima di un vero e proprio genocidio culturale, quasi del tutto ignorato dalle potenze occidentali in nome di una pace generale. Fino a oggi le dichiarazioni di H&M sembravano essere passate inosservate, ma da lunedì scorso, quando Unione Europea, Stati Uniti, Canada e Regno Unito hanno approvato le sanzioni nei confronti della Cina, quest’ultima ha deciso di rispondere con altre sanzioni nei confronti di alcuni politici europei e di “punire” il marchio svedese, e altre aziende occidentali, boicottandole. Mentre i media di stato, televisione e giornali, invitano i cittadini a non comprare i prodotti di H&M, diverse celebrità e influencer cinesi hanno interrotto i rapporti di collaborazione con l’azienda. I prodotti del marchio svedese sono inoltre stati rimossi dalle principali piattaforme di acquisti online, come la multinazionale Alibaba, e l’applicazione di H&M non è più disponibile sull’app store Android. I punti vendita presenti sul territorio cinese non sono più segnalati sulle mappe online. Sembrerebbe un capriccio, una piccola vendetta, ma perdere un mercato come quello cinese sarebbe per H&M, come per qualsiasi azienda, una perdita gravissima in termini economici e di prestigio. E Pechino ne è consapevole. La motivazione ufficiale, tuttavia, fornita dalla divisione cinese di H&M, sarebbe quella di favorire un cambiamento in favore dello sviluppo sostenibile dell’azienda. La sede centrale, invece, non solo non si è espressa a proposito, ma ha ritirato il comunicato.
La Cina non è nuova a questo tipo di avvertimenti: nel 2018 anche GAP, azienda di abbigliamento statunitense, era stata messa alle strette dal governo cinese per aver venduto delle magliette con una rappresentazione del territorio cinese “errata”, secondo il governo. La mappa infatti non comprendeva alcune regioni autonome, come il Tibet meridionale e Taiwan, che la Cina rivendica come proprie. Lo stesso è accaduto, sempre nel 2018, a un’altra azienda di abbigliamento occidentale: la spagnola Zara, costretta a scusarsi per aver indicato Taiwan come Paese autonomo.
È evidente, dunque, come la Cina sia in grado di sfruttare il suo enorme potere economico per fini politici, fino a ottenere la legittimazione ad assoggettare popoli vicini o autonomi, dichiarare territori altrui come propri e annientare culture difformi, senza dover necessariamente ricorrere all’uso della forza.
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