Tre film, tre città e tre storie che ci raccontano spaccati delle nostre società (forse) lontani ma mai dimenticati.
«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: "Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.»
Questo è un articolo personale, che non parla di attualità o notizie fresche bensì di cinema e società. Parla di come, alle volte, sia possibile fare militanza politica con una macchina da presa e di come ciò che esce da quella stessa macchina da presa possa avere una forza tale da superare la politica stessa per trasformarsi in militanza sociale. Una linea ideale congiunge tre storie, diverse e lontane tra loro, ma in realtà profondamente simili per contenuto e messaggio. Motore, ciak, azione: cominciamo.
Cosa accomuna Claudio Caligari, Mathieu Kassovitz e John Singleton? Il mestiere di regista, certo, ma non solo. Tutti e tre, infatti, ci hanno regalato dei film che raccontano in tre differenti realtà la condizione degli ultimi, gli emarginati, e di quanto talvolta sia difficile evadere da catene invisibili che ci portiamo dalla nascita. Ma procediamo con ordine. I film di cui parliamo sono: “Non essere cattivo” (2014) di Caligari, “L’odio – La haine” (1995) di Kassovitz e infine per la regia di Singleton “Boyz N the Hood – Strade violente” (1991). Tre storie di periferia, di violenza e di ricerca di riscatto. Anche quando il riscatto è tremendamente difficile da raggiungere. Tre storie ambientate negli anni ’90, periodo di transizione caratterizzato da società all’apparenza spensierate e lanciatissime verso il futuro ma in realtà ancora colme di contraddizioni, come i Nostri ci dimostrano con i loro racconti. Storie di periferia, dicevamo. Roma, Parigi e Los Angeles. Correggiamo: la borgata romana di Ostia, le banlieue di Parigi e Hyde Park a South Los Angeles. Realtà particolari, microcosmi autonomi all’interno di metropoli tra le più note al mondo.
C’è un sociologo e filosofo francese di nome Pierre Bourdieu che ha sviluppato all'interno della sua teoria dell'azione sociale un concetto: l’habitus. Questo è inteso come “insieme delle disposizioni irriflesse, di origine sociale, comuni ai soggetti appartenenti, per cultura e status economico, a un gruppo sociale omogeneo. Le varie modalità di ciascun habitus […] influiscono sugli individui e sui gruppi determinandone e perpetuandone gli schemi cognitivi, la percezione del mondo sociale e culturale, le preferenze e gli stili di vita” (vedi la voce Treccani relativa a B. su http://www.treccani.it/enciclopedia/pierre-bourdieu_%28Enciclopedia-Italiana%29/). Con questa teoria Bourdieu sosteneva quindi che gli individui sviluppano delle strategie che si fondano su un piccolo numero di disposizioni acquisite tramite la socializzazione e che, anche inconsapevolmente, queste risultano necessarie per sopravvivere nel mondo sociale. È quello che succede ai protagonisti delle nostre vicende, segnati profondamente dal proprio habitus ma consapevoli allo stesso tempo di come la realtà di periferia non debba costituire necessariamente un tracciato senza possibilità di modifica. Vediamo le nostre storie.
1. Non essere cattivo. 1995, Ostia. Vittorio e Cesare sono amici da sempre: insieme bevono, si drogano, si azzuffano nel quartiere fatiscente dove sono nati e cresciuti, e dove adesso cercano di trovare la loro strada. Vittorio si innamora di Linda e trova un lavoro: finalmente qualcosa per cui vale la pena ripulirsi e ripartire. Cerca di coinvolgere anche Cesare, ma il richiamo della strada resta forte. Sequel ideale di “Amore tossico”, primo film di Caligari, “Non essere cattivo” è un film profondamente pasoliniano (non a caso il nome di uno dei protagonisti è Vittorio, come il protagonista di “Accattone” di PPP), antropologico e sociale, che ci racconta uno spaccato di Roma con fare vero e sincero.
2. L’odio – La haine. Tre ragazzi, tre religioni, tre etnie nelle banlieues parigine, quando ancora non c’era Sarkozy a definirli “feccia”, mentre la Francia eludeva il problema e tutti, fuori dai confini transalpini, lo ignoravano. L’ebreo Vinz è un teppista che pretende rispetto a tutti i costi con il mito della violenza alla “Taxi Driver” di Martin Scorsese. Con lui altri due emarginati: il più tranquillo Hubert, nero, la cui esasperazione passa per una palestra bruciata e il maghrebino Said, diviso tra responsabilità e violenza. 25 anni fa questo film sconvolse e coinvolse il mondo, ora sembra un reportage per la potenza con cui Kassovitz ci racconta una Francia per anni messa sotto al tappeto.
3. Boyz N the Hood – Strade violente. Un gruppo di adolescenti che alle soglie dell’età adulta cercano di scendere a patti con la vita nell’esplosivo South Central District di Los Angeles. Tre Styles è un ragazzo cresciuto sotto la salda guida del padre Furious e che aspira a una vita migliore al di là del quartiere. Stanchi di sentire sparatorie e di vedere i proprio compagni rimanere vittime dei colpi, Tre e i suoi amici Doughboy e Ricky lottano per poter sopravvivere in una difficile realtà fatta di amicizia, dolore, amore e pericolo. In un mondo in cui le tragedie non risparmiano nessuno e la violenza sembra alle volte apparire come unica risorsa.
Questo è un articolo personale, si diceva, che non parla di attualità o notizie fresche bensì di cinema e società. Non ha la pretesa di istruire ma ha l'intento invece di invogliare a vedere tre storie che, nonostante raccontino un'epoca distante ormai quasi trent'anni, hanno ancora molto da insegnare. Vedere per credere, buona visione.
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