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Gian Marco Renzetti

Referendum: Sì o No?

Domenica 20 e lunedì 21 settembre i cittadini italiani sono chiamati ad esprimere il proprio consenso (o diniego) in merito al referendum costituzionale relativo al taglio dei parlamentari. Il dibattito sul tema è stato caratterizzato da ampie polemiche oltre che dalla creazione di fazioni esplicitamente schierate per la riduzione o per il mantenimento dell’attuale rapporto di rappresentanza

Cosa prevede il referendum? Il quesito referendario prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e del numero dei senatori che passerebbero da 315 a 200. Trattandosi di un referendum confermativo non è necessario il raggiungimento di un quorum, dunque il risultato del voto sarà valido indistintamente dal numero di voti espressi dalla popolazione. Prima di diventare un referendum costituzionale la riduzione del numero dei parlamentari è stata oggetto di un progetto di riforma nata dagli accordi del Governo Conte I, generato dal patto tra Lega e M5s. Il benestare alla modifica della composizione numerica delle camere è arrivato il 7 febbraio 2019 a Palazzo Madama: in quell’occasione si espressero favorevolmente M5s, Lega, FdI e la maggioranza dei senatori di Forza Italia mentre il Pd votò contro. Successivamente, l’11 luglio 2019, in seguito alla seconda deliberazione si raggiunse la maggioranza assoluta alla Camera senza però ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi in quanto i senatori Dem e di Liberi e Uguali si espressero contrariamente mentre Forza Italia non partecipò alla votazione. Soltanto l’8 ottobre 2019, durante l’ultima lettura a Montecitorio, è arrivato il via libera di tutti i gruppi parlamentari (eccezion fatta per alcune voci del gruppo Misto). Tuttavia l’ottenimento del quorum dei due terzi alla Camera dei deputati è risultato privo di conseguenze per l’iter di approvazione della legge poiché secondo quanto stabilito dall’art. 138 della Costituzione è necessario che vengano raggiunti i due terzi anche al Senato, altrimenti non può essere ottenuta la promulgazione diretta del provvedimento. Per queste specifiche motivazioni la riforma è divenuta un referendum confermativo il quale può essere richiesto da un quinto dei componenti di una delle due camere, da 500.000 elettori o, in alternativa, da cinque consigli regionali. La facoltà di richiedere il suddetto referendum è stata esercitata da 71 senatori che in data 10 gennaio 2020 hanno depositato la richiesta presso la Corte suprema di Cassazione. La rappresentanza parlamentare in Europa Molte notizie relative agli indici percentuali della rappresentanza in altri paesi europei si sono susseguite sui canali di informazione. Soprattutto i social network sono stati protagonisti dell’ennesima campagna di disinformazione sul delicato tema della rappresentanza. Troppo spesso, infatti, la condivisione di tabelle e grafici parziali ha volontariamente incanalato il sentimento collettivo senza fornire spiegazioni adeguate. In particolare è stata riscontrata la diffusione di dati relativi alla composizione dei parlamenti di paesi con sistema bicamerale evidenziando esclusivamente i numeri di una delle camere (in genere di quelle direttamente elettive) mentre ai fini di un’analisi comparata sincera è necessario considerarle entrambe. Nella tabella sottostante sono stati riportati i reali indici percentuali della rappresentanza parlamentare in rapporto a centomila cittadini. Le nazioni cui fa seguito un asterisco possiedono un parlamento monocamerale.

Le ragioni del Sì In pratica, perché no? Per certi versi le ragioni che premono sul "no" al taglio sembrano essere legate alla molto probabile inefficacia del provvedimento. A ben vedere sembra che il taglio non porti dei grandi benefici al paese, ma è pur sempre vero che la mancata approvazione del referendum non porterà altro che una nuova legge elettorale (fatta in fretta e furia, così come se dovesse vincere il sì) e nessuna modifica all'assetto parlamentare.

Per i sostenitori del sì è quindi un valido tentativo da fare, o quantomeno un tentativo "a costo zero", quello di intervenire nella sfera legislativa. In questo modo il numero dei rappresentanti diminuirebbe ma si dovrebbe velocizzare l'iter legislativo, potendo contare su un numero minore di parlamentari, il processo decisionale dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) farsi più snello.

Altro motivo per cui i sostenitori del sì appoggiano il taglio è che questo tipo di riforma è ben meno complesso e molto meno "drastico" rispetto a quello proposto da Matteo Renzi nel 2016: il referendum, coniatosi di fatto in un voto di leadership, se approvato avrebbe posto fine al bicameralismo perfetto dando al potere legislativo la possibilità di risolvere finalmente la problematica relativa al lunghissimo iter per l'approvazione delle leggi (che in Italia è di più di un anno e mezzo a legge). Questo per dire che tale riforma è senza dubbio mal preparata e anche inopportuna in questo momento, ma per i sostenitori del sì è meglio di nessuna riforma; non si tratta di pensare all'efficacia o alla necessità della proposta (e nemmeno ai possibili output che genererà), quanto alla possibilità di cambiare qualcosa in un paese statico e senza apparenti vie d'uscita. Siamo tutti consapevoli della debolezza del potere legislativo nel XXI secolo, ne vediamo gli effetti in tutta Europa e se vi è una minima possibilità che il parlamento torni ad essere l'arena decisionale che era una volta, allora perché no?

Tra i sostenitori del “No” vi è una buona parte di cittadini che non ha dubbi nell’identificare il taglio dei parlamentari come un attacco alla Costituzione. Va ricordato che non si tratta di una modifica della Costituzione originaria risalente al 1948, bensì della revisione del numero in seguito ad una modifica dei canoni della rappresentanza parlamentare operata nel 1963 attraverso una legge costituzionale. Secondo la previsione prevista dall’Assemblea Costituente la composizione numerica del Parlamento sarebbe dovuta essere variabile in base al numero dei cittadini, fissando l’elezione di 1 deputato ogni 80.000 abitanti e di 1 senatore ogni 200.000. Al giorno d’oggi, considerando l’attuale numero di deputati e senatori, al fine di mantenere la proporzione sancita dalla Costituzione del 1948 anziché ridurre il numero sarebbe necessario incrementarlo (per la Camera) di 120 unità, mentre l’odierno numero dei senatori rispecchia la proporzione originaria di 1 ogni 200.000 abitanti. Parlare quindi di una mortificazione della Costituzione appare eccessivo e populista tanto quanto sostenere che votando “Sì” si risparmieranno cifre importanti (pochi milioni equiparabili ad una goccia nel mare della spesa pubblica). Ma tra i sostenitori del taglio ci sono anche cittadini molto informati, speranzosi che questa riduzione possa innescare una qualche forma di cambiamento, come il tanto decantato progetto di riforma della legge elettorale – che in ogni caso sarebbe stato preferibile aver già predisposto – o l’improbabile miglioramento dell’efficienza dell’iter parlamentare.

Le ragioni del no

In Italia si discute da anni della riforma dei parlamentari, di un sistema politico ormai obsoleto e da innovare, di leggi elettorali complicate e poco efficienti. Le ragioni per il "no" sono prettamente legate all'aspetto costituzionale e pratico del taglio, in particolare si evince come esista e sia forte la necessità di una riforma parlamentare, ma che questo non sia il momento più adatto o favorevole all'adattamento di un nuovo parlamento. Tuttavia il taglio del numero dei parlamentari comporterebbe nuove sfide per la dimensione legislativa ma, a conti fatti, non sembra prospettare una risoluzione in ambito politico, al contrario sembra il frutto di una politica austera e priva di altri strumenti di governance: in particolare, non è assolutamente detto che un minor numero di deputati e senatori porterà ad uno snellimento né del sistema elettorale né ad una velocizzazione e razionalizzazione del procedimento legislativo, poiché al taglio non è stata accompagnata una riforma elettorale coscienziosa e matura; non è nemmeno detto che il taglio farà largo ai più giovani o ai più meritevoli (a togliere la poltrona saranno infatti i partiti che dovranno decidere chi rimuovere dal gruppo; non sono stati nemmeno aggiunti dei correttivi per le regioni con un minor numero di circoscrizioni che risulterebbero così penalizzate a causa della minore rappresentanza in parlamento). Altro punto è che, specialmente quando è stata inserita nel patto di governo giallo-verde, la legge sul taglio dei parlamentari è stata presentata come uno strumento per rimpinguare le esauste casse statali. Purtroppo però ben poco possono fare 80 milioni di risparmio annuali (stando ai calcoli) a fronte di una ben più grande emergenza fiscale ed economica. In pratica, il taglio è stato "pubblicizzato" come ciò di cui l'Italia ha tempestivamente bisogno, quando in realtà le emergenze sono altre e di ben più ampia portata (pensiamo alla gestione dei fondi europei per il virus, o alla ripresa economica, o alla disoccupazione giovanile alle stelle: tutti temi su cui si sta rimandando e si rimanderà ancora finché il referendum ci terrà occupati); inoltre la stessa riforma poteva essere studiata molto meglio che con una semplice sforbiciata alle poltrone.


Bibliografia


Foto da: il tascabile


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