Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta molti intellettuali italiani si confrontano nelle loro opere, siano esse romanzi, saggi, film o rappresentazioni teatrali, con il vasto tema del Medioevo. Interesse casuale? Semplice revival folkloristico? Forse c’è di più.
Cosa spinge autori del calibro di Luigi Malerba, Antonio Porta e Umberto Eco, giusto per citarne alcuni, ad ambientare le loro storie in un passato così remoto, quando il presente, caratterizzato da forti tensioni politiche che sfociano nel terrorismo, importanti conquiste sociali e grandi scandali istituzionali, pare tutt’altro che privo di fascino e interesse? La crescente attenzione nei confronti del periodo medievale durante i cosiddetti anni di piombo procede lungo due rette distinte che finiscono inevitabilmente per intersecarsi: da un lato attirano una grande attenzione, soprattutto all’interno del mondo accademico, gli studi di Michail Bachtin intorno all’opera di François Rabelais e alla cultura popolare medievale, introdotti nell’ambiente universitario bolognese, con dieci anni di anticipo rispetto all’effettiva traduzione italiana per i tipi Einaudi, dal professor Ezio Raimondi; dall’altro, contemporaneamente, si sviluppano su giornali e riviste accesi dibattiti circa presunte analogie tra il Medioevo e gli anni Settanta. Se l’interesse nei confronti della cultura popolare medievale, almeno in una prima fase, coinvolge principalmente addetti ai lavori, il parallelo tra le due epoche storiche appassiona un vasto pubblico, come si evince dal fermento intorno alle discussioni su giornali e riviste che richiama a sé anche grandi personalità intellettuali del tempo. È lo stesso Umberto Eco, infatti, ad analizzare l’argomento delle somiglianze tra il Medioevo e l’attualità in un approfondito articolo pubblicato su L’Espresso nel 1972. Il semiologo prende spunto per il suo articolo dalla recente pubblicazione de Il medioevo prossimo venturo, saggio di grande successo scritto dall’ingegnere e divulgatore scientifico Roberto Vacca, che descrive una rapida regressione della società umana tecnologica a uno stadio, appunto, medievale. Eco si chiede però se lo scenario pronosticato da Vacca, invece che essere un’ipotesi apocalittica, non sia piuttosto «l’enfatizzazione di qualcosa che c’è già». L’articolo, dal titolo Verso un nuovo medioevo, dà vita a un intrigante parallelo tra l’epoca vissuta dall’autore e il periodo storico che va dal V al XIII secolo. Non è questa la sede per trarre un’analisi minuziosa di Verso un nuovo medioevo, data la sua lunghezza, ma basti sapere che da questo e altri articoli di Eco (ma non solo) si delineano una serie di temi di comparazione tra il Medioevo e gli anni Settanta, che si ritroveranno poi in molta della letteratura di quegli anni. Tra le prime somiglianze riscontrate vi è quella tra i vagantes medievali, bande di emarginati e mistici, e da un lato i gruppi hippies, considerati da Eco «veri e propri ordini mendicanti», e dall’altro le comitive di «studenti vaganti», come li definisce Gianni Celati, che popolano le vie delle città universitarie (Bologna, non a caso, è detta da Enrico Palandri nel suo romanzo Boccalone del 1979 «città di alti camminatori»). Se il tema del vagabondaggio è già presente nel film di Mario Monicelli del 1966 L’armata Brancaleone, grande classico che segue le vicende di un gruppo di sbandati, cavalieri e non, attraverso un Medioevo derelitto, esso viene ripreso poi da Luigi Malerba in Storie dell’anno Mille, ciclo narrativo per ragazzi scritto a quattro mani con Tonino Guerra tra il 1969 e il 1974, e soprattutto è approfondito nella magnifica prefazione di Piero Camporesi a Il libro dei vagabondi, citata dallo stesso Umberto Eco nel suo primo romanzo, quel Nome della rosa che venderà negli anni a seguire centinaia di migliaia di copie in tutto il mondo. Restando al romanzo di Eco, è palese come molti dei temi teorizzati negli articoli scritti a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si ritrovino riprodotti all’interno della narrazione de Il nome della rosa: si pensi al paragone tra i movimenti autonomi di sinistra e i movimenti eretici medievali trattato nell’articolo del 1976 I fratelli del Libero Festival, anch’esso pubblicato su L’Espresso. Eco nota una duplice somiglianza tra i due movimenti: la prima riguarda la loro ortodossia nei confronti della dottrina cui fanno riferimento, sia essa il marxismo, come per i movimenti autonomi degli anni Settanta, o il cristianesimo, per i movimenti eretici, e il loro conflitto con il massimo rappresentante di tale dottrina, sia esso il PCI o la Chiesa; la seconda somiglianza riguarda i metodi repressivi cui il Potere ricorre per soffocare tali gruppi, in realtà eterogenei e separati tra loro sia per struttura che per metodi (esistono gruppi violenti come anche non violenti) che per ideologia, ma inclusi dall’opinione pubblica in un unico grande e confuso calderone che permette una sorta di «livellamento degli “estremismi”» grazie al quale risulta poi facile arginare ogni possibile intento rivoluzionario. Difficile non pensare a questo paragone con l’attualità allora quando si leggono le pagine che Eco dedica al grande fiume dei movimenti ereticali ne Il nome della rosa e alla sua indistinta repressione che colpisce valdesi come dolciniani, o, per meglio dire, movimenti studenteschi di protesta come movimenti armati terroristi… L’intellettuale trova insomma nel passato medievale un’allegoria del presente, attraverso la quale analizzare con maggiore distacco un contemporaneo dalla natura fin troppo complessa e oscura, in cui i misteri intorno al terrorismo nero, alla strategia della tensione e per ultimo all’affaire Moro (che Eco sottolinea essere tra i motivi principali che lo spingono a scrivere un romanzo, dopo anni di scrittura non finzionale) risultano di difficile comprensione. È più chiaro allora intuire i continui riferimenti alla fame nel romanzo medievale del 1978 di Malerba Il pataffio, se si mettono in relazione con lo spettro di essa che aleggia nel mondo occidentale a seguito della crisi economica causata dalla guerra arabo-israeliana del Kippur del 1973, che porta l’Italia negli anni successivi ad avere un tasso di inflazione tra il 17% e il 19% (tra i più alti dei paesi industrializzati). Risulta ancora più chiara di conseguenza la presenza, sia nel romanzo di Eco che in Storie dell’anno Mille di Malerba e Guerra, del tema dell’apocalisse, la cui ombra terrorizza sia gli uomini e le donne che vivono il X secolo (o almeno questo crederebbe una superficiale opinione diffusasi nell’Ottocento) sia quelli degli anni Settanta che, a seguito della crisi missilistica di Cuba, dell’inasprimento della Guerra fredda, della diffusione dei primi dibattiti su temi ambientalisti e, per i più superstiziosi, dell’avvento dell’anno 2000, temono ora un’apocalisse nucleare o ecologica. Perché alle volte per affrontare una materia complessa come la realtà degli anni Settanta, per di più vissuta in presa diretta, è utile fare un passo indietro e cambiare punto di vista, in modo da creare la distanza necessaria per cercare nel passato nuove risposte a domande che forse ci si è già posti.
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