L'isolazionismo sta diventando tendenza politica comune a molti Stati, ma non si tratta soltanto di una chiusura dei confini, esso riguarda intimamente ciascuno di noi e, più precisamente, il modello di società che rappresentiamo.
“L’Europa dia prova di solidarietà”
È l’appello che Papa Francesco rivolge al continente in questi giorni drammatici [1]. Ma dimostrare comprensione verso l’altro e soccorrerlo quando manifesta la necessità di un aiuto è un qualcosa di assolutamente raro.
Nei momenti di maggiore avversità il genere umano ha talvolta saputo reagire attingendo alle forze aggreganti, che spingono gli individui all’azione sinergica per superare un comune ostacolo, altre volte invece si è lasciato consumare dal desiderio di primeggiare sull’altro, dalla smania di ritrovarsi nella condizione di poter dettare le regole del gioco. La storia è costellata di eventi che testimoniano l’uno e l’altro atteggiamento. Oggi a cosa stiamo assistendo?
La nefasta situazione di emergenza che, giorno dopo giorno, ci tiene in sempre crescente apprensione rappresenta una straordinaria occasione per dare dimostrazioni importanti. Quali? Sicuramente al centro andrebbe posta la fratellanza tra i popoli: un valore assoluto per alcuni, pericoloso per molti. Essa rappresenta una potenziale via d’uscita da questa crisi ma comporta un sacrificio corale: ciascuno deve essere capace di rinunciare a qualcosa per il bene di tutti ma, come si evince dalle notizie quotidiane, questa rinuncia non viene seriamente considerata da nessuno. Insomma, l'unione fa la forza, ma se ciò finisce col porre tutti sullo stesso livello, o perlomeno a limitare le differenze, forse è meglio perseguire la propria strada e tentare di conservare il proprio margine di vantaggio sugli altri. Questo è il perno dell'isolazionismo, far da sè prima e meglio degli altri. Fratellanza e solidarietà sembrano dunque destinate a rimanere macchie d’inchiostro su qualche vecchio foglio di carta e ciò accade perché tutti gli Stati sovrani sono abituati a leggere il mondo con lenti particolari; non si considerano allo stesso modo le esigenze delle diverse popolazioni e si finisce con il creare pericolose distinzioni di categoria. La stessa definizione di “Terzo mondo”, entrata a far parte del linguaggio internazionale nel 1955, ne è un esempio lampante [2]. È un’espressione utilizzata spesso eppure non sempre ci si chiede per quale ragione quei luoghi siano diventati il “Terzo mondo”, una categoria inferiore; così facendo si ignorano secoli di colonialismo, di soppressione delle libertà, di conversione forzata ad un nuovo stile di vita. Questo ci riporta all’importanza della memoria e della verità storica:
“Se non riesci a ricordare dove hai messo le chiavi, non pensare subito all'Alzheimer; inizia invece a preoccuparti se non riesci a ricordare a cosa servono le chiavi.”
Queste belle parole, pronunciate da Rita Levi Montalcini, possiamo reinterpretarle ricorrendo al concetto di partenza del nostro discorso: la solidarietà. Non ha molto senso cercare di capire dove si nasconda la solidarietà se abbiamo dimenticato la sua funzione, il suo obiettivo, se non sappiamo più cosa sia. Questo è il vero pericolo. Da quando il mondo è stato contagiato dal Covid-19 abbiamo assistito alla narrazione di avvenimenti strazianti che hanno avuto luogo in molte aree del pianeta, tra loro profondamente diverse. Questa pandemia è come una livella, ci pone sullo stesso piano, e anche se alcuni possiedono strumenti più adeguati di altri per farvi fronte, ciascun Paese riconosce che il problema è di portata globale, comune a tutti. Questa consapevolezza anziché fungere da deterrente per le pratiche di solidarietà dovrebbe invece incoraggiarle. Eppure assistiamo al teatrino degli egoismi, dove ognuno cerca di accaparrarsi la sua fetta di immunità. Il Presidente Trump vuole il vaccino solo per sé [3], il Primo ministro olandese Rutte rivendica l’obbligatorietà dell’utilizzo del MES [4], il Governo italiano chiude nuovamente i porti a persone che vengono dal tanto trascurato “Terzo mondo” [5], il Primo ministro Johnson (prima di ammalarsi e finire in terapia intensiva) rivendicava la necessità del raggiungimento di una “immunità di gregge” [6]: sono tutte forme di assoluto egoismo, se pure ben diverse tra loro, e spingono a chiederci se non abbiamo davvero dimenticato il significato del termine solidarietà. Non è il caso del Presidente Mattarella, che durante un discorso pronunciato l’11 aprile ha affermato: “evitiamo il contagio del virus e accettiamo piuttosto il contagio della solidarietà tra di noi" [7]. E oltre al Presidente della Repubblica certamente non lo ha dimenticato chi oggi è in prima linea per fronteggiare l’emergenza: da chi dopo un turno di 12 ore ha ancora la forza e la sensibilità per rassicurare un paziente a chi sfida le onde del mare per soccorrere persone disperate, non volute, perché sa che rischiano la vita e le reputa esseri umani al pari degli altri.
Purtroppo è la classe politica a trascurare il valore fondamentale del venirsi incontro, a ignorare l’osservanza di princìpi essenziali della società umana, a non capire che solo facendo leva sulle capacità di ciascuno si potrà venirne fuori insieme e far fiorire una giusta sintesi tra tesi e antitesi.
Per approfondire:
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