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Luigi Sorrentino

Storica vittoria dei riders

Il Tribunale di Palermo ha emanato un verdetto destinato ad essere ricordato. Per la prima volta un tribunale italiano riconosce ad un rider la qualifica di lavoratore subordinato e la titolarità di un rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato.


Il rapporto di lavoro dei riders nel quadro normativo

Dei rider si è parlato spesso nel corso degli ultimi anni e ancor più dall’inizio della pandemia. Lavoratori del giorno e della notte, spesso costretti a prestare la propria attività lavorativa senza la copertura nei casi di infortunio e malattia professionale. Lavoratori retribuiti secondo il sistema del cottimo anziché attraverso tariffa oraria. Ma le condizioni dei riders potrebbero cambiare definitivamente in seguito alla sentenza del tribunale di Palermo.

I lavoratori che svolgono questa professione sono stati storicamente assunti con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, pertanto la qualificazione giuridica del loro rapporto di lavoro è sempre stata intermedia tra il lavoro autonomo (art. 2222 c.c.) e la para-subordinazione (art. 409 c.p.c.). Tale inquadramento ha permesso alle piattaforme di distribuzione di evitare di concedere ai riders i benefici relativi alla qualifica di lavoratore subordinato tra i quali la garanzia di una retribuzione “proporzionata e sufficiente” (art. 36 Cost.), il diritto alla conservazione del posto di lavoro e il diritto al trattamento di fine rapporto (art. 2120 c.c.).

Ma come si stabilisce se un lavoratore deve essere considerato subordinato?

A chiarire la situazione interviene l’art. 2094 del c.c. il quale asserisce che:


“È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”

Il criterio fondamentale per stabilire la qualifica di lavoratore subordinato è dunque l’etero-direzione come chiarisce una nota sentenza della Corte di Cassazione (n° 4682/2002):


“L’elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è costituito dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (…) con la conseguente limitazione della sua autonomia ed il suo inserimento nella organizzazione aziendale”

Molto diversa è la para-subordinazione la quale indica rapporti di lavoro autonomo caratterizzati da una collaborazione continuativa e personale all’impresa altrui. I requisiti indispensabili per questa classificazione sono la ripetizione di più prestazioni collegate da un nesso di continuità, la coordinazione o connessione funzionale derivante da un protratto inserimento del lavoratore nelle dinamiche d’impresa e la prevalente personalità del lavoro svolto. Nel 2015 con l’entrata in vigore dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 (uno degli 8 decreti attuativi della delega contenuta nel Jobs Act) è stata prevista l’estensione, dal 1° gennaio del 2016, della disciplina del lavoro subordinato “anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Da questo momento si è iniziato a parlare di “collaborazioni etero-organizzate”. L’intento era quello di arginare l’abuso delle partite iva e di porre un freno alla cosiddetta “fuga dal lavoro subordinato”. Tuttavia l’ambiguità della formulazione di tale articolo (che non si riferisce alle collaborazioni coordinate dal committente) ha creato confusione e sovrapposizioni normative; per questo motivo la nozione contenuta nell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 è stata riformata ad opera del d.lgs. 101/2019 che ha introdotto tutele per i lavoratori che svolgono la propria attività attraverso piattaforme digitali. Ed ecco che entrano in gioco i riders, poiché la nuova formulazione introduce una predisposizione garantista verso questi lavoratori.





Le sentenze del passato

A far da apripista alla sentenza storica citata in apertura sono state alcune pronunce del Tribunale di Torino (maggio 2018), della Corte di Appello di Torino (febbraio 2019) e della Cassazione (gennaio 2020) nei confronti dei riders di Foodora. Questi lavoratori sono stati assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa nel quale si prevedeva che il rider potesse candidarsi liberamente per una specifica corsa, in base alle proprie esigenze. Il lavoratore dopo essersi candidato si impegnava a eseguire la consegna avvalendosi di un proprio mezzo di trasporto ed era inoltre consentita la libertà di recesso (con opportuno preavviso). Una volta candidatosi per una specifica corsa il rider si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti, pena una sanzione pecuniaria a suo carico. Il compenso era pari a 5,60 euro l’ora al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali. La tutela previdenziale era affidata alla gestione separata. Settimanalmente la piattaforma pubblicava gli slot disponibili e confermate le candidature il responsabile della flotta comunicava l’assegnazione del turno. In seguito alla comunicazione della conferma del turno il rider si recava presso un luogo prestabilito, attivava la geolocalizzazione attraverso l’applicazione della piattaforma e iniziava a ricevere ordini ed effettuare le consegne. Il Tribunale di Torino riconosce la natura autonoma del rapporto di lavoro descritto poiché i lavoratori non erano tenuti a dare la propria disponibilità e potevano non presentarsi (no show). Dunque in assenza di potere di controllo e di potere disciplinare vengono escluse sia la subordinazione che l’etero-organizzazione. L’anno successivo la Corte di Appello di Torino riforma in modo parziale la sentenza del Tribunale confermando che non sussistono gli estremi della subordinazione ma riconoscendo l’applicabilità dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, pertanto vanno concesse ai lavoratori oggetto del contenzioso le tutele in merito a retribuzione, limiti di orario, ferie e previdenza. La vicenda si conclude nel gennaio di quest’anno quando la Cassazione conferma la sentenza della Corte di Appello e aggiunge che i rider devono ricevere copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Altre due sentenze che hanno riguardato i riders sono state emanate dal Tribunale di Bologna e dal Tribunale di Firenze che hanno imposto a Deliveroo e Just Eat di consegnare ai riders i dispositivi di protezione individuale per tutelarsi dal Covid19.



La sentenza del Tribunale di Palermo

Anche grazie al sostegno di Nidil CGIL si è risolto nel migliore dei modi un contenzioso iniziato sul nascere del 2020 che ha avuto per protagonista un rider 49enne che prestava servizio per Glovo. Il lavoratore è stato disconnesso dalla piattaforma senza apparenti motivi. Il Giudice del Lavoro Paola Marino dopo aver analizzato l'evoluzione dei fatti e le motivazioni fornite dai legali della piattaforma spagnola ha emesso la sentenza che impone la reintegra del lavoratore e il pagamento di un’indennità risarcitoria. Al lavoratore spetta ora un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, con inquadramento di sesto livello e rispondente del contratto collettivo del settore Terziario per la distribuzione e i servizi. Una sentenza destinata ad incidere sul futuro di questa categoria che in piena pandemia ha rappresentato, e continua oggi a rappresentare, un’importante voce del settore produttivo. Sempre più lavoratori svolgono questa professione ed è importante che spetti loro il giusto riconoscimento normativo poichè, come sosteneva il grande giuslavorista Marco Biagi, individuare il tipo legale al quale ricondurre uno specifico rapporto di lavoro equivale ad individuare le norme che regolano quello specifico rapporto, per cui:


"Constatare che Tizio è un programmatore di computer, un tornitore, un consulente aziendale, non ci dice ancora nulla sulle regole giuridiche che governano tali attività umane"

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