Di pari passo con la rapida diffusione del virus va l’instabilità economica prodotta dal lockdown.
Da quando la pandemia di CoVid19 ha cominciato a diffondersi in Italia, provocando le restrizioni che stiamo tuttora vivendo, lo sguardo del governo si è rivolto verso l’Unione Europea e verso la Banca Centrale. Ci si aspettava, fin dai primi giorni, un intervento concreto volto a dare garanzia a lavoratori e banche nazionali. In particolare la necessità di abbassare i tassi d’interesse per fornire più liquidità alle banche era vista da molti come la priorità per fronteggiare la crisi e per aiutare i lavoratori “bloccati” nelle loro case. Quel che è emerso dalla narrazione di questi giorni è che l’Europa sia completamente immobile, portatrice di un handicap evidente: frammentarietà politica interna dei singoli stati membri e incapacità di reagire prontamente nelle situazioni di crisi, sono questi i temi amplificati da più partiti in Europa per ragioni di speculazione od opportunismo. Dai giorni successivi alle dichiarazioni della Lagarde, presidente BCE dopo Mario Draghi, si è potuto assistere alla ripresentazione di uno scenario che già in passato era caldeggiato da alcuni partiti in conseguenza della politica di “austerity” messa in atto dall’Europa per fronteggiare la crisi negli anni successivi al 2011: la possibilità di un “QuItaly” o anche “ItalExit”.
Ripercorriamo gli avvenimenti che hanno coinvolto i rapporti Italia – UE.
Dopo la decisione della chiusura del paese la sera del 9 marzo da parte del primo ministro Giuseppe Conte, la presidente della BCE Christine Lagarde, in un discorso sulla gestione economica dell’emergenza, si lascia scappare la frase “non siamo qui per ridurre lo spread”. Passo falso che provoca, invece, un’impennata del differenziale che schizza a quota 320 punti base. In quella stessa dichiarazione la Lagarde aveva ampliato il cosiddetto quantitative easing, di 120 miliardi, uno stanziamento minimo. Si tratta soldi che arrivano alle banche nazionali tramite l’acquisto, da parte della BCE, dei titoli di Stato che vengono emessi dai singoli paesi membri per finanziare il proprio debito (va ricordato che la BCE non produce moneta); questi soldi vengono poi prestati dalle banche alle imprese con tassi d’interesse molto bassi, anche negativi. (qui spiegato nel dettaglio: https://www.money.it/Cos-e-Quantitative-Easing-QE-significato). L’obiettivo è quello di introdurre liquidità (denaro fisico) permettendo alle famiglie di comprare, per non giungere ad un crollo dei consumi e, di conseguenza, del PIL.
Una settimana dopo, il 19 marzo, la BCE annuncia l’ampliamento del quantitative easing a 750 miliardi da emettere entro fine anno. Un piano d’acquisti straordinario chiamato “Pepp” (Pandemic emergency purchase programme) varato per far fronte all’indebitamento a cui dovranno ricorrere gli Stati per fronteggiare la pandemia. “Misure straordinarie in tempi straordinari” è quanto afferma la Lagarde.
Altra misura importante arriva il 23 marzo: viene sospeso il patto di stabilità, i vincoli dei trattati non rappresentano più un limite a quanto gli stati possono indebitarsi (qui spiegato nel dettaglio: Https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-ue-stop-patto-stabilita-von-der-leyen-pronti-anche-ad-altre-azioni-ADDXZqE).
Al vertice dei 27 capi di Stato del 26 marzo. Si discute sull’efficacia dello stop al patto di stabilità e sull’impiego degli eurobonds (anche detti coronabonds): si tratta di uno strumento di debito condiviso da tutti gli Stati membri ed emesso da un’unica istituzione europea (https://www.corriere.it/economia/finanza/20_marzo_27/coronabond-ecco-cosa-sono-perche-conte-li-chiede-ue-28a9a96c-7002-11ea-82c1-be2d421e9f6b.shtml). Pur non essendo stata accolta - a causa delle reticenze dei paesi del Nord-europa, in particolare Germania e Olanda, con un debito pubblico molto più basso rispetto a quelli della cosiddetta “periferia” - la discussione è ancora aperta. Altro argomento di discussione ha riguardato l’impiego incondizionato del MES. Per attingere al fondo salva-Stati infatti ogni Stato deve sottoscrivere un “memorandum”, il cosiddetto protocollo d’intesa, dove delinea chiaramente le clausole che adatterà per garantire che potrà “restituire” i soldi prestati. Essendo nato come strumento per fronteggiare la crisi, alcuni Stati prediligono il MES, altri esigono che tali protocolli non vengano sottoscritti per fronteggiare l’emergenza senza un tetto massimo di spesa. È bene ricordare che l’adozione di queste misure richiede l’approvazione all’unanimità, mentre i provvedimenti della BCE sono varati in accordo con la maggioranza degli Stati membri. Ragion per cui è ancora più importante fare fronte comune e parlare con un unica voce. Tuttavia il Consiglio dei 27 si è concluso con la decisione di mettere a punto uno strumento congiunto per fronteggiare la crisi, da presentare entro 10 giorni.
Acquisto da parte delle BCE di 220 miliardi in titoli di Stato dall’Italia. Altro quantitative easing che si aggiunge al piano di quelli già stanziati. Un aiuto non indifferente, considerando che la cifra è pari al 12% del nostro PIL.
Viene proposto il primo aprile dalla Commissione il piano “Sure” (Support to mitigate unemployment risk in an emergency), da varare nel prossimo vertice dell’Eurogruppo: piano di cento miliardi in titoli di Stato. Sono i primi fondi stanziati per la disoccupazione prodotta dal lockdown.
Il 3 aprile la commissione UE approva lo stop ai dazi e all'IVA sulle merci destinate all'utilizzo da parte degli operatori sanitari. In tutta l'Unione (Regno Unito compreso) non saranno più tassati, nel transito da uno Stato ad un altro, ventilatori, tamponi, mascherine e altro materiale sanitario. "E’ essenziale che le apparecchiature e i dispositivi medici arrivino rapidamente dove sono necessari", è quanto afferma Paolo Gentiloni, Commissario per gli affari economici dell'Unione europea (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/03/coronavirus-commissione-ue-via-dazi-e-iva-su-apparecchiature-da-paesi-terzi-e-cofinanzia-trasferimento-di-pazienti-e-medici-tra-i-27-stati/5759095/).
Insomma, di misure stanziate per fronteggiare la crisi, l’Unione Europea ne ha fornite diverse, sia fondi strutturali per i paesi in difficoltà, sia aiuti diretti al nostro paese sotto forma di titoli. Nonostante le accuse di immobilità e apatia che descrivono la situazione fragile dell’organismo internazionale, qualcosa “si muove”, sebbene nonostante questo, le misure potrebbero non bastare. Mario Draghi, in occasione del salvataggio delle banche in difficoltà per la crisi del 2011, pronunciò la frase “whetever it takes”, a qualunque costo. “A qualunque costo si emergerà dalla crisi”, solo così gli investitori non potranno speculare senza rischi, ma con la paura che questa crisi potrebbe non essere quella definitiva per il nostro paese. Solo così, “a qualunque costo”, l’economia non collasserà. I mercati devono rimanere sicuri, convinti che ci sarà una ripresa e continuando ad investire nel nostro paese perché qualcuno (la BCE) garantisce che saremo in grado di riprenderci e di ripagare i debiti. In altre parole dobbiamo acquistare fiducia da parte degli investitori che iniettano liquidità nel nostro sistema. Tale necessità sembra essere stata compresa dalla Federal Reserve, la banca federale USA, che per combattere la crisi economica indotta dalla pandemia ha stanziato un piano da 2000 miliardi. I risultati si vedranno col tempo. La fragilità delle misure che si stanno prendendo oggi risiede nella convinzione comune che domani questa crisi non porterà solo una riduzione della domanda aggregata, come avvenuto nel 2008, bensì anche dell’offerta. Se così fosse, si dovrebbero cambiare tutti i piani per non arrivare ad un crollo del PIL irrecuperabile ma, per adesso, la crisi è ancora in fase di incubazione e quello che viene messo sul piatto in questo momento segnerà il nostro futuro e, probabilmente, il futuro dell’Unione Europea.
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