top of page
Maurizio Travalloni

Tanti Arlecchino e pochi leader: l’importanza del ruolo istituzionale

«Le caratteristiche peculiari della folla collimano con le assemblee parlamentari: semplicità intellettuale, irritabilità, suggestionabilità, l'esagerazione dei sentimenti e l'influenza preponderante di pochi leader. È terribile a volte pensare al potere della forte convinzione combinata con la estrema ristrettezza mentale posseduta da soggetti prestigiosi».


1895, Gustav Le Bon scrive il volume “La psicologia della folle” sul ruolo giocato dalle masse all’interno della società. Leggendo la citazione riportata in testa, relativa al rapporto tra masse e decisori politici, si fatica a pensare che siano passati ben 125 anni dalla pubblicazione del volume da parte dello psicologo e sociologo francese. Innegabile è l’attualità di queste parole, in virtù della pochezza dei diversi personaggi politici che brulicano nel mondo istituzionale dei vari Stati. Sempre più spesso ci troviamo di fronte a dichiarazioni o atteggiamenti quantomai discutibili – quando ancora del tutto privi di essere discussi per la palese illogicità – di politici che sembrano essere stati reclutati alla stregua degli agenti di “Scuola di polizia”. Il mondo politico è specchio del paese d’appartenenza, è vero, ma qualcuno ancora si illude che la politica possa rappresentare, se non una vocazione, almeno qualcosa di diverso dal cabaret ben allestito che spesso ci troviamo di fronte. La politica è una cosa seria – recita il libro di Andrea Scanzi del 2019 – ed è vero, come è altresì vero che "assistiamo da decenni a un inesorabile svilimento della cosa pubblica" come afferma sempre il giornalista aretino. Tuttavia, a ben vedere, lo svilimento è decisamente democratico: coinvolge politici e Paesi di tutto il mondo. Senza sconti. Specie nell'emergenza da Covid-19, che sembra aver risvegliato Arlecchino in diversi politici, internazionali e non.



Eppure, ragionando anche in termini psicologici, il ruolo del politico e delle figure istituzionali ha tra i suoi compiti quello di esorcizzare le paure ed imprimere una spinta motivazionale alla popolazione. Ecco come si spiega la metafora della guerra, strabusata nella retorica anti-coronavirus (per un focus specifico sul tema della “guerra coronavirus” vedi https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/e-davvero-giusto-definirla-guerra). Comprensibile quindi l’approccio retorico utilizzato da numerosi leader mondiali: un po’ melenso, certo, ma strategicamente funzionale per lo scopo di tranquillizzare in un momento di grande paura le popolazioni di tutto il mondo. Dall’altra parte, invece, fanno eco le uscite goffe e infelici di certi personaggi politici con lo scopo di sbeffeggiare il virus o ancora tranquillizzare investitori ed economie. Ecco dunque una minirassegna di personaggi che hanno deciso approcci diversi – più fortunati alcuni, meno altri – con cui opporsi alla pandemia che ci tiene chiusi in casa da ormai un mese.


1. Matteo Salvini. Non potevamo che partire dal panorama italiano e dal nostro Capitone nazionale. Le recenti richieste di riaprire le Chiese per Pasqua, visto che la scienza da sola non basta e va “unita alla protezione del Cuore Immacolato di Maria” generano, oltre a una certa ilarità generale (specie se lette in successione alla preghiera fatta in diretta tv da Santa Barbara da Mediaset), un certo senso di inquietudine. Neanche il delicato momento che stiamo vivendo spinge il capo del Carroccio a pesare le parole usate nelle uscite pubbliche. Imperterrito continua questa sua missione evangelizzatrice, senza però considerare i riflessi potenzialmente nefasti in termini di salute pubblica qualora le Chiese di tutta Italia venissero veramente riaperte.

2. Jair Bolsonaro. Il 22 marzo il discorso in tv sul coronavirus come “una piccola influenza o un raffreddore” quando in Brasile si contavano già 1600 casi, tempo dieci giorni e il Covid-19 (grazie alla sua capacità di mutare, forse) diventa invece "la più grande sfida per la nostra generazione”. Peccato che questo inutile attendismo porti dopo una settimana e mezzo il Paese a oltre 8.000 casi. In assenza di misure governative, si mobilitano addirittura le bande di trafficanti di alcune delle maggiori favelas di Rio de Janeiro – come riportato dal Guardian (https://www.theguardian.com/world/2020/mar/25/brazil-rio-gangs-coronavirus?fbclid=IwAR2u5wJeN1vnMlPSMBICqiUmZZcMiJFRLPUR5LSEB-f91KPMvaK3Nw2OfgM) – imponendo manu militari il coprifuoco ai cittadini brasiliani per evitare il propagarsi del virus specie tra la popolazione più povera.


3. Aljaksandr Lukashenko. Il premier bielorusso, che da 26 anni governa ininterrottamente il paese in una simil-dittatura, si è distinto per creatività nelle modalità di contrasto al Covid-19, adottando misure ignote al momento anche all’Oms. Mentre gli ultras chiedono a gran voce la sospensione del campionato di calcio, il Nostro è convinto che la reazione di tutto il mondo nei confronti del coronavirus sia solo una sorta di psicosi collettiva, e che non ci sia nessun reale pericolo. “Qui non ci sono virus. Questo è un frigorifero. Gli sport, in particolare quelli sul ghiaccio, sono la migliore medicina antivirus”. E ancora sostiene “bisogna andare a lavorare e bere 40 mL di vodka al giorno”. Insieme a fare continuamente molte saune, questo il “vaccino” da lui proposto.


4. Andrew Cuomo. Per ultimo il governatore dello Stato di New York, che in un video suggestivo che riprende le parole pronunciate in un discorso il 24 marzo scorso afferma "Ce la faremo perché siamo New York. E perché abbiamo già avuto a che fare con molte cose". Mentre scorrono le immagini della Grande Mela continua Cuomo "abbiamo dovuto fare i conti con tante cose. Siamo svegli, abbiamo risorse, siamo uniti. E siamo duri, dobbiamo essere duri perché questo posto ti rende duro, ma nel senso buono". Una spinta a supporto del popolo newyorkese in questa lotta serrata contro un nemico comune.


Per approfondire:




Comments


bottom of page