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Luigi Sorrentino

Welfare, egemonia e comunicazione di massa. La realtà convenzionale del cittadino contemporaneo

Tante ombre e poche luci attorno alle iniziative da intraprendere in vista della “fase 2”. Ci si chiede se i numerosi dibattiti in atto siano interessati da ipotesi di progettazione concertata circa la modifica delle dinamiche produttive. Si vuole attuare una politica economica "cuscinetto" o si sta pensando di intervenire in modo concreto su un nuovo modello di sviluppo? Questa crisi è davvero un'occasione per ripensare in meglio la nostra società? Risponderemo a queste domande ripercorrendo i punti di osservazione privilegiati di alcuni illustri pensatori del Novecento.

Intanto mentre l’opinione pubblica si chiede quando si avrà un allentamento delle misure restrittive l’OMS comunica un vademecum per "accedere" alla prossima fase (vedi il video qui https://www.quotidiano.net/esteri/video/coronavirus-oms-ecco-le-indicazioni-per-allentare-le-misure-1.5108163)


I sei criteri della “fase 2” annunciati dall’OMS:

1 - La trasmissione del contagio deve essere "controllata"

2 - le capacità del sistema sanitario devono essere in grado di "rilevare, testare, isolare e trattare ogni caso e rintracciare ogni contatto"

3 - i rischi di epidemia devono essere "ridotti al minimo in contesti speciali quali le strutture sanitarie e le case di cura"

4 - vanno messe in atto "misure preventive nei luoghi di lavoro, nelle scuole e in altri luoghi in cui è essenziale che le persone vadano

5 - i rischi di importazione di contagio devono essere gestiti

6 - le comunità devono essere pienamente istruite, impegnate e autorizzate ad adeguarsi alla 'nuova norma'.


Intravedere un nuovo ordine di azioni

Di sicuro nel nostro Paese la trasmissione appare ancora parzialmente incontrollata, e pur non mettendo in dubbio le capacità cui si fa riferimento al secondo punto è altrettanto certo che il rischio di contagio nelle strutture non è stato, in molti casi, affrontato con la giusta considerazione (si prendano ad esempio le drammatiche conseguenze della gestione di alcune Rsa in Lombardia - https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_aprile_14/coronavirus-lombardia-perquisizioni-pio-albergo-trivulzio-altre-rsa-87198870-7e29-11ea-9d1e-3b71f043fc58.shtml). Basta un rapido confronto con questo elenco di prerequisiti per rendersi conto che non siamo ancora pronti, dal punto di vista sanitario, per una fase successiva. Ieri sera il Ministro della Salute Speranza, intervistato a DiMartedì, ha sottolineato che “siamo ancora in grande difficoltà, abbassare la guardia sarebbe un errore inaccettabile". Altrettanto caute in tal senso le dichiarazioni di Maurizio Landini che ha più volte invitato a rispettare le direttive sanitarie e ad anteporle alle esigenze d’impresa. Inoltre il segretario generale della Cgil, in collegamento su Rai 2 con la trasmissione di Fazio, ha sostenuto che “non è immaginabile che ci sia una data in cui si torni a lavorare come si faceva prima” ed è anzi necessario “disegnare un nuovo modello di sviluppo”. Specifica poi la necessità di “un lavoro con dei diritti” ma anche quella di essere capaci di costruire un progetto in grado di intercettare le altre grandi mutazioni contemporanee: dall’emergenza climatica alla trasformazione digitale del lavoro e dell’economia. Continua insomma a farsi strada la convinzione che si debba coniugare l'emergenza in atto con la necessità di alcuni provvedimenti importanti in specifici settori di policy.

Una società che sappia reinventarsi tenendo conto di queste esigenze è un luogo in cui si è saputo porre un freno al consumismo frenetico, in cui si è iniziato ad incentivare con continuità investimenti nel settore delle energie rinnovabili, in cui si è finalmente riscoperta la centralità delle istituzioni che divulgano la conoscenza e si occupano di ricerca, in cui una fiorente sanità pubblica è colonna portante di un nuovo modello di welfare.

Oltre alle perplessità relative alla presunta data di partenza della “fase 2”, che stando a quanto riportato da diversi quotidiani dovrebbe essere il 4 maggio, il quesito che sorge in molti spontaneo riguarda piuttosto la possibile predisposizione di un progetto di crescita industriale - concertato tra parti sociali e Governo - adeguato ad affrontare le imminenti sfide cui sarà sottoposto l’universo produttivo nazionale, con particolare riferimento alle tematiche illustrate da Landini. Ma reinventare il welfare-state e immaginare un nuovo modello di approccio alle dinamiche del mercato del lavoro non è affatto semplice, poiché all’interno di questo contesto esistono delle pratiche che sono state oggetto di una seria cristallizzazione, e che sono dunque difficili da modificare.


Welfare-state: da soluzione alla "nazionalizzazione delle masse" a inquilino del condominio neo-liberista

Fin dalla sua genesi lo Stato sociale è stato inteso da Lord Beveridge come una soluzione per immunizzare le società dal virus del totalitarismo fascista, il quale si era affermato ideologicamente in virtù della sua capacità di calamitare le masse all’interno del progetto totalitario, secondo quella che Mosse definì “La Nazionalizzazione delle Masse”. L’integrazione tra il nazionalismo e la popolazione, secondo Beveridge, doveva essere superata sul terreno della stessa cittadinanza, per mezzo della dimostrazione della potenza inclusiva di una rinnovata democrazia. La capacità innovativa dell'approccio universalistico di protezione sociale proposto da Beveridge spezza il lungo dominio della politica economica del laissez-faire, inaugurando un nuovo percorso fondato sulla centralità dello Stato come erogatore di servizi pubblici a carico della fiscalità generale, e offrendo una fondamentale alternativa al modello bismarckiano, volto invece alla tutela del lavoratore e basato sul principio della corrispettività.

Nel corso del XX secolo sia il modello beveridgiano sia quello bismarckiano si sono affermati in differenti contesti, andandone ad organizzare diversamente la struttura. Successivamente la crescente esigenza di contenere i costi del welfare-state ha spinto molti Stati all’assunzione di una condotta fiscale fondata sul "principio del beneficio" o della "contro-prestazione" (ovvero l'inserimento di prezzi e tariffe per i servizi di trasporto pubblico o i ticket ospedalieri) in modo da ottenere un ricavato dall’erogazione del servizio pubblico ai cittadini. Analogamente al fine di contenere le spese previdenziali (sempre crescenti a causa dell’aumento della speranza di vita e quindi del numero dei pensionati) molti Stati, tra cui l’Italia, hanno deciso di modificare l’assetto a ripartizione del sistema previdenziale, rendendolo contributivo, e quindi proporzionato ai contributi effettivamente versati, mentre in precedenza era retributivo, più generoso poiché l’importo della pensione era calcolato in riferimento alle ultime buste paga percepite dal lavoratore in un dato arco temporale. Sono soltanto alcuni segnali dell’imminente declino dello stato-sociale: i successivi duri colpi ad esso inferti dalla crisi economica del 1973 preannunciano definitivamente l'ascesa del neoliberismo come nuovo imperativo dell’organizzazione economica. Tuttavia nei successivi decenni il welfare state non è scomparso, si è adattato alle modificazioni che stavano avvenendo in seno agli Stati in quel frangente storico. Nel 1990 il sociologo danese Gøsta Esping-Andersen, in "The three worlds of welfare capitalism", esprime una "tripartizione" dello stato sociale distinguendo 3 modelli differenti: un w. di matrice liberale e liberista, che contempla la separazione delle funzioni tra Stato e mercato lasciando ampio margine di azione all'iniziativa privata, basato sulle considerazioni della Scuola di Chicago ed in particolare di Milton Friedman; un w. di natura bismarckiana in cui i diritti e l'entità delle prestazioni sono collegate al tipo di professione svolta; un w. di stampo socialdemocratico in cui la fruizione dei diritti e delle prestazioni dipende dal possesso della cittadinanza. Se il primo modello è largamente diffuso nei contesti anglosassoni, il secondo interessa l'area dell'Europa continentale e parte di quella meridionale e il terzo si è sviluppato principalmente nei Paesi scandinavi, i quali sembrano aver intrapreso da almeno un ventennio un percorso virtuoso che converge attorno alle crescenti tutele lavorative. L'epoca contemporanea ha dunque registrato la convivenza tra un welfare-state sempre più fragile e l'affermazione degli imperativi economici dettati dal financial-capitalism. Tale coesistenza ha plasmato un panorama inedito, che qualcuno ha definito post-moderno e post-democratico, in cui una rivalutazione dei meccanismi di protezione sociale appare complicata quanto la riaffermazione di forme di deontologia politica (tema analizzato qui https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/la-necessit%C3%A0-di-una-deontologia-politica).


L'egemonia culturale e la società dello spettacolo

Secondo Zygmunt Bauman la modernità ha lasciato il passo ad un interregno gramsciano (vedi qui https://www.wired.it/attualita/media/2017/01/10/pensiero-bauman-5-punti/?refresh_ce=), ovvero una fase di transizione in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. Per chiarire questa affermazione è utile richiamare all’attenzione il significato del concetto di “egemonia culturale” che Antonio Gramsci descrive come l’imposizione forzata di un determinato simulacro, quello relativo alla classe socio-economica dominante, la quale crea “i presupposti per un complesso sistema di controllo” (https://www.linkiesta.it/blog/2016/05/ha-sempre-un-senso-rileggere-gramsci/). Le convinzioni - come la teoria della mano invisibile dell'economia di Adam Smith - e i costumi dell’élite dominante hanno plasmato la società in ogni aspetto: sono state capaci di affermare un nuovo paradigma economico e di dissolvere macro-strutture come il welfare-state, finito con l’essere vittima dei benefici da esso stesso generati. L’aumento della speranza di vita residua e il miglioramento delle condizioni sociali che sono state ottenute dall'applicazione dei vari modelli di welfare hanno comportato, nel mondo intero, un sensibile innalzamento dei costi della struttura dello Stato del benessere, costituendo uno dei motivi che hanno sancito il suo declino. La globalizzazione e tutti i meccanismi da essa generati hanno accelerato la sostituzione del welfare-state con un nuovo ordine economico-sociale, il paradigma neoliberista, che già dai primi anni settanta ha iniziato la sua plastica adesione alle istituzioni e ai meccanismi di governance multilivello, finendo con l’essere, ancora oggi, l’unico modello apparentemente perseguibile. La percezione della mancanza di alternative può essere di certo spiegata dall’azione di disturbo operata mediaticamente, ed in modo massivo, dalle classi egemoni; secondo Gramsci, e anche secondo Orwell, modificare le convinzioni e le emozioni della società civile non solo è possibile, ma anche facilmente realizzabile se si possiedono le risorse economiche per acquisire i canali di informazione. In tal proposito risulta molto interessante fare riferimento al celebre saggio “La società dello spettacolo” del sociologo francese Guy Debord, pubblicato nel 1967. Quest’opera analizza intimamente il legame che intercorre tra lo spettatore e la spettacolare rappresentazione della realtà, intesa come “simulacro”, insieme di segni e significati multiformi e mai casuali.

“Lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio.”

Il distacco dalla ragione critica coincide con l’adesione al “lato convenzionale della vita” e la simbiosi con il linguaggio pubblicitario che, per forza di cose, è anche linguaggio politico poiché come suggerisce Hannah Arendt:

Ogni volta che è in gioco il linguaggio, la situazione diviene politica per definizione, perché è il linguaggio che fa dell’uomo un essere politico

L’individuo finisce così con l’essere indirizzato in merito ad ogni aspetto della sua realtà percettiva, dall’ordine politico ed economico alle conoscenze geografiche e scientifiche. Il cittadino dell’epoca post-moderna è quindi da intendersi estremamente solo, tassello di una modernità soggetta a rapporti liquidi e sfumati in cui la pubblicità e l’iper-connessione rappresentano i pilastri inamovibili e dove la presenza dei non-luoghi cresce considerevolmente. Profetiche in questo senso le parole pronunciate da Pier Paolo Pasolini nel 1974, a seguito di un’intervista per il programma “Donna donna” (RAI) in cui al poeta vengono sottoposti dei quesiti in relazione ai mutamenti che interessano l’istituzione familiare (http://www.teche.rai.it/2015/02/intervista-a-pasolini-su-donna-e-famiglia-21091974/).

"In questa nuova era la famiglia non serve più e quel codice primo del codice sociale che era prima si sta dissolvendo. E i figli ormai passano la maggior parte del tempo fuori dalla famiglia e alla televisione non importa educare il bambino. Ma solo farlo diventare un consumatore.”

Il risultato di questo grande cambiamento di palcoscenico, a cui si è assistito a partire dal secondo dopoguerra, è coinciso con la genesi di schiere di individui soggiogati dalle logiche della comunicazione pubblicitaria e del marketing politico. Perfetti consumatori addestrati magistralmente allo scopo di incrementare il Pil. (https://framespolitics.wixsite.com/politics/post/c-%C3%A8-altro-oltre-il-pil). La frammentazione dei tessuti sociali e l’evanescenza delle responsabilità dettate dai mandati di rappresentanza sono l’esito di un modello educativo che, come spiegato da Pasolini in questa intervista, ha oltrepassato e sostituito la tradizionale istituzione della “famiglia” finendo col disciogliersi nel vortice del consumo che non conosce altro valore al di fuori del profitto. Ecco che riaffiora il tema della fluidità che investe ogni cosa: rapporti umani, sentimenti, ideologie. L'essere umano sembra costretto ad una realtà "unidimensionale", come racconta egregiamente Herbert Marcuse nel celebre saggio "L'uomo a una dimensione", in cui l'autore riconosce la validità delle narrative derivanti dal "pensiero negativo" come un antidoto all'abuso dell'immaginazione che "è diventata uno strumento di progresso" e il cui potere nello "stabilire il ritmo e lo stile della politica (...) eccede di gran lunga Alice nel paese delle Meraviglie in quanto a manipolazione di parole, voltando il senso in non senso e il non senso in senso comune".


La necessità di un dialogo tra stakeholder

L’insieme di questi fattori lascia intendere che le necessità espresse dal segretario della Cgil, in relazione alle doverose premesse da porre in essere prima della ripresa del processo produttivo, sono viziate di verità. Sarebbe necessario che anche altre istituzioni e organismi di pubblica rappresentanza si facessero portatori di questi interessi, dimostrandosi stakeholders attraverso i fatti e non solo nei proclami politici. Come insegnano le esperienze del New Deal e del Piano Marshall quando si vive una profonda crisi economica l’unico modo per uscirne è investire, con straordinaria attenzione alla quantità ma soprattutto alla qualità di tali investimenti, che vanno condotti in settori strategici. Con la doverosa sospensione del patto di stabilità europeo è stato compiuto un primo importante "step", ma ormai è passato del tempo e gli accordi dell’eurogruppo sull’ipotesi di un meccanismo europeo di stabilità privo di condizionalità appaiono ancora troppo precari; tutto ciò mentre l’IMF comunica i dati che sanciscono una recessione globale del pianeta nel 2020 pari al -3%, per l’Italia si registra un calo di addirittura il -9%, corrispondente ad una delle ultime posizioni in graduatoria (per ulteriori accertamenti visita il sito ufficiale dell'IMF a questo indirizzo: https://blogs.imf.org/2020/04/14/the-great-lockdown-worst-economic-downturn-since-the-great-depression/).




Per approfondire

- Guy Debord, "La società dello spettacolo", 2008, Massari.

- Herbert Marcuse, "L'uomo a una dimensione", 1967, Einaudi.

- Zygmunt Bauman, "Modernità liquida", Laterza.

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